Lavorare in campo ambientale

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Luci e ombre

Da quindici di anni mi occupo di fornire a privati e amministrazioni pubbliche supporto tecnico e scientifico per affrontare problemi di gestione ambientale. Nella mia attività mi confronto spesso con i temi dell’autorizzazione di progetti, del monitoraggio degli effetti di attività e interventi, della programmazione e pianificazione dell’uso di risorse naturali.

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Proprio stamane mi è capitato uno di quei casi che considero emblematici. Qualche giorno fa, una società di progettazione mi ha contattato per chiedermi un preventivo relativo ad attività di monitoraggio ambientale. Per elaborare la mia proposta tecnica ed economica ho chiesto se esistesse già un piano di monitoraggio o se dovessi prevedere anche la sua elaborazione. Il mio interlocutore mi ha rassicurato: il piano esiste già. Me l’ha inviato e l’ho esaminato per stabilire quali attività fossero necessarie, in modo da potere preparare la mia offerta.

Dall’esame del piano mi sono reso immediatamente conto che qualcosa non quadra. L’attività prevista è solo parzialmente conforme a quanto previsto dalle norme e dalle linee guida a me note per la valutazione degli effetti di un’attività di quel tipo. Dopo avere ragionato un po’ ho deciso di contattare il potenziale cliente e discutere informalmente la cosa.

Il mio interlocutore, devo dire gentilissimo e paziente, ha ascoltato le mie osservazioni e infine ha concluso che sarebbe stato sufficiente che io valutassi il costo di quanto previsto dal piano a me inviato. Per quanto riguarda il resto, si vedrà, al momento la cosa importante è portare a casa il progetto.

Non riesco a ricordare quante volte ho ascoltato questa frase. Portare a casa il progetto. Come se il destino successivo dell’opera realizzata non ci riguardasse.

Il problema è in realtà culturale. Quando un imprenditore, o un’amministrazione, sentono la necessità di creare qualcosa di nuovo, si pongono degli obiettivi e si affidano a qualcuno che predisponga un progetto.
Il committente si aspetta che il progettista risolva tutti i problemi fino al giorno della consegna del prodotto finale, che ovviamente dovrà essere conforme ai desideri del committente e adeguato a raggiungere gli obiettivi inizialmente stabiliti.

Nel mezzo c’è il mare

Fra la nascita dell’idea e il successo finale, ovvero la realizzazione di un prodotto, che sia un’opera o un piano, soddisfacente in fatto di risultati, c’è un percorso non banale.
Innanzitutto, non è detto che la soluzione individuata sia accettabile dal punto di vista ambientale.
Senza entrare nel merito della giustizia, esistono delle norme volte a salvaguardare il patrimonio comune, individuando obiettivi ambientali e limiti. Un progetto che sia perfetto sotto il profilo strettamente produttivo, potrebbe generare conseguenze inammissibili in base alle attuali norme ambientali.

Noi professionisti dell’ambiente in genere arriviamo dopo, molto dopo. Veniamo contattati quando l’idea è già divenuta progetto in avanzato stadio di redazione. È già stata scelta l’alternativa ritenuta migliore, sono già stati fatti investimenti economici e di tempo, a volte sono già stati acquisiti beni. Manca solo quel fastidioso e incomprensibile passaggio “ambientale”, che nella cultura italiana è visto come insignificante.

L’ambiente viene spesso confuso con il solo paesaggio, ovvero con quel complesso di caratteri del territorio che ne fanno l’habitat della nostra specie. Viene però trascurato tutto ciò che non sembra direttamente connesso con la percezione umana del territorio e delle sue risorse.
Faccio un esempio: pescare acque di ottima qualità da una falda fossile sembra un’ottima idea, ma non tiene conto del fatto che quella è esauribile, o che il prelievo dell’acqua di buona qualità richiamerà in quell’acquifero acque di qualità inferiore. Occhio non vede, cuore non duole.

Quando arriviamo tardi, noi professionisti del campo ambientale ci troviamo di fronte alla perenne sfida impossibile: dimostrare che un progetto è compatibile con gli obiettivi ambientali, fissati dalle norme nazionali e comunitarie. Non sempre lo è, ma il nostro ruolo viene confuso con quello di un avvocato, che deve difendere con egual convinzione il colpevole e l’innocente.

In realtà il nostro mestiere dovrebbe essere completamente differente. Ciò che un professionista dell’ambiente sa e può fare è risolvere problemi individuando soluzioni, che non sono necessariamente quella di fare passare per buono ciò che non lo è.

Purtroppo capita di rado, ma è accaduto che fossi contattato da un committente prima ancora di affidare la progettazione di un’opera. In quelle occasioni ho potuto ascoltare le idee del mio cliente, capire quali fossero i suoi obiettivi e le sue aspettative, quindi valutare preventivamente quali sarebbero stati i problemi del percorso fra la nascita dell’idea e la conclusione dell’opera. Ho studiato le ipotesi fatte dal cliente, ho acquisito tutte le informazioni preliminari sull’area di progetto potenziale e ho individuato i pro e i contro di ogni alternativa.

Al mio cliente in quei casi ho fornito una valutazione preliminare, che gli ha consentito di capire quali ipotesi fossero percorribili e quali no. Solo allora ha avuto inizio la progettazione preliminare e, lavorando in gruppo coi progettisti, abbiamo preparato dei progetti che, a nostro giudizio, coniugavano un basso impatto ambientale con un buon rendimento dell’investimento.

Sono casi rari, sia perché manca nella società una conoscenza dei limiti e delle possibilità esistenti, sia perché al professionista dell’ambiente viene raramente riconosciuta quella professionalità che dovrebbe essere fondamento del suo lavoro. In questo quadro non è infrequente che colleghi scivolino nell’improvvisazione, nel copia incolla, nella fretta e approssimazione. Sono tentazioni che colgono tutti prima o poi, quando ci si rende conto che lo scarso riconoscimento da parte della società si traduce in una pessima valutazione del valore del nostro lavoro. Molti si chiedono, perché garantire alta qualità se ci pagano per l’infima qualità?

Dal punto di vista aziendale, la mia scelta è sempre stata quella di fare le cose nel miglior modo possibile, usando la mia preparazione ed esperienza, chiedendo la collaborazione di altri specialisti di cui conosco capacità e preparazione. Ho fatto raramente sconti, ma assai raramente sono riuscito a chiudere un lavoro con un utile superiore al 30%. Questo è il dato su cui ci dobbiamo confrontare. Fornire un prodotto di bassa qualità a un prezzo inferiore a quello della concorrenza, non mi interessa, né interessa ai miei partner abituali. È una scelta che lascio ai clienti: risparmiare qualche €uro oggi oppure risparmiare molto denaro e problemi in futuro?

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