Le aree che chiamiamo SIC sono parte di una rete di aree istituita per conservare alcuni elementi della natura europea, altrimenti a rischio. La loro funzione è creare una rete di siti, connessi fra loro, che permetta la sopravvivenza di habitat e specie a rischio di scomparsa (estinzione) in Europa.
Non si tratta di porzioni di territorio caratterizzate da divieti di ogni genere. Quello è un concetto piuttosto vecchio di conservazione, inadeguato alla realtà del territorio europeo occidentale.
Innanzitutto vediamo in dettaglio cosa sono. I Siti di Interesse Comunitario (SIC) sono porzioni di territorio che, per gli habitat presenti e le specie che ci vivono, sono state candidate a divenire Zone Speciali di Conservazione (ZSC).
Dunque un SIC non è destinato a rimanere tale in eterno e dovrebbe evolvere in una ZSC. I ogni caso queste aree hanno lo scopo di creare una rete continentale che permetta di conservare determinati elementi della natura europea. Per elementi della natura intendo, semplificando molto, habitat e specie. Non tutti gli habitat ne tutte le specie, ma quelli riconosciuti come “tipici”, meritevoli di attenzione e conservazione. In generale parliamo di habitat e specie “di interesse” nell’ambito dell’Unione Europea.
L’elenco degli habitat e delle specie si trova allegato alla Direttiva 92/43/CEE, nota a molti col nome di Direttiva Habitat.
Questa famosa Direttiva Habitat è una delle norme più detestate e fraintese da coloro che incontro nel mio lavoro. Tutti ne parlano ma pochissimi ne conoscono i contenuti a grandi linee, quasi nessuno l’ha letta. Se volete la potete trovare a questo link.
Innanzitutto c’è un equivoco riguardo a SIC o ZSC: non sono aree dove viene esercitata una protezione rigorosa e integrale. Quello è un tipo di gestione che viene semmai messa in atto in alcune parti dei parchi nazionali degli USA, dove esistono addirittura aree interdette per tutti coloro che non siano addetti al loro studio o sorveglianza.
Nel nostro caso un motivo per avere una visione così pragmatica ed elastica del concetto di “tutela” risiede nella storia dell’Europa. Qui non esistono quasi più habitat primari veri e propri. Abbiamo trasformato quasi tutto il territorio di questa parte di Eurasia, lasciando piccoli lembi di natura primaria qua e là. Negli USA invece, dopo avere rimosso gli indigeni, sono rimaste zone molto ampie dove l’uomo non aveva modificato in modo significativo lo stato naturale dei luoghi.
Fino al 1992 questa constatazione non sembrava aver fatto breccia da questo lato dell’oceano. Si usavano ancora i termini di “riserva naturale” come unità territoriale più o meno omogenea e capace di per sé di conservare gli elementi naturali che la caratterizzano. Era un errore, dettato da una visione riduzionistica dell’ecologia.
Si è capito che non basta conservare una specie o un habitat in un dato luogo, perché la loro esistenza è possibile solo in un contesto molto più ampio di una piccola zona protetta.
Durante gli anni 60 e 70 del XX secolo gli ecologi si erano resi conto che l’intera Biosfera è un sistema e che nessun ecosistema che ne faccia parte è chiuso, men che meno isolato. Ogni ecosistema, per quanto riconoscibile, scambia energia e materia con quelli confinanti, ma non solo. Scambia anche organismi. Esiste sempre un flusso più o meno intenso di viventi e di informazione genetica fra sistemi confinanti. Interrompere questi flussi inceppa i meccanismi che tengono “in moto” il sistema.
Provo a farvi un esempio, raccontando la storia di una specie creata dalla mia fantasia.
Abbiamo due popolazioni di Rana Urlatrice Viola (la specie creata dalla mia fantasia) e possiamo ritenere con regione che la specie sia piuttosto a rischio di estinzione.
Sono solo due popolazioni, se una va in crisi, scompare metà del totale mondiale di Rana Urlatrice Viola. Una grande perdita per la biodiversità e una pacchia per le zanzare.
Certo dipende dalle dimensioni delle popolazioni. Più grandi sono, più ampio è il territorio che occupano e minore è il rischio che scompaiano. Ma sappiamo che in Europa l’habitat della specie è diminuito moltissimo negli ultimi cento anni, in seguito alla bonifica degli ambienti umidi, riduzione dei boschi lungo le rive dei fiumi, peggioramento della qualità delle acque, più campi e più insetticidi.
Le nostre due popolazioni non sono per nulla grandi e il loro territorio è piccolo, anzi è frammentato. Un centinaio di rame qua, una cinquantina là, per incontrarsi devono attraversare le strade e schivare le auto. I due territori poi sono ben separati da un’altra zona dove non si vede nemmeno l’ombra di Rana Urlatrice Viola.
Qualunque evento negativo può fare scomparire una delle due popolazioni. A questo punto ne rimarrà solamente una. Dove c’era quella estinta, cessati gli effetti dell’evento negativo, probabilmente c’è ancora un habitat idoneo alla nostra Rana Urlatrice Viola, ma gli individui superstiti della seconda popolazione non possono raggiungerlo, perché sono lontani e manca un collegamento sicuro.
In una situazione del genere, basta un secondo evento sfavorevole per fare scomparire anche l’ultima popolazione e dunque portare all’estinzione della Rana Urlatrice Viola, sparita per sempre dalla faccia della Terra. Le zanzare, che invece non si sono estinte, ringraziano.
Se invece fosse stato possibile disporre di una rete di siti idonei alla nostra rana, connessi da corridoi ecologici funzionali, le varie popolazioni si sarebbero tenute in contatto, avrebbero potuto esserci scambi genetici e la scomparsa di una popolazione avrebbe potuto essere compensata dalla ricolonizzazione, da parte di individui di altre popolazioni.
Questa è l’idea di fondo della rete Natura 2000 e dunque delle zone che chiamiamo SIC o ZSC. Forse avrete sentito parlare anche di ZPS, sono sempre parte della rete europea, ma nacquero prima di SIC e ZSC, dato che vennero istituite a tutela degli uccelli con la Direttiva 79/409/CEE.
Tag: Direttiva Habitat, Estinzione, Gestione, Habitat, Natura, Natura2000, Protezione, Salvaguardia, SIC, Specie, Tutela, Valutazione di Incidenza, VIncA, ZPS, ZSC
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