Global Climate Strike for Future

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Non è solo una questione di clima, o delle emissioni che possono accelerarne il cambiamento. La questione è globale e totale: si tratta del nostro stile di vita, della nostra società, del nostro sistema economico.

In tutta la storia dell’umanità abbiamo agito cercando di usare il più possibile le risorse naturali e lo spazio, con il solo e semplice obiettivo di avere sempre più

ricchezza, cibo, condizioni di vita sicure e piacevoli.

A partire dal XVIII secolo qualcosa è cambiato: abbiamo imparato a usare energia immagazzinata da milioni di anni nel carbone, poi nel petrolio e nel metano. Questo ci ha consentito di fare cose che non sarebbero state possibili usando solo l’energia in arrivo dal Sole e catturata dai vegetali, o dall’acqua e dall’aria.

Le fonti rinnovabili hanno alimentato ogni attività umana a partire dalla scoperta del fuoco, quando imparammo a controllare la combustione del legno.

L’enorme cambiamento, che definiamo Rivoluzione Industriale, ha determinato le condizioni attuali dell’umanità, con un progressivo aumento dell’uso di energia e la lenta, ma inesorabile, modificazione delle caratteristiche dell’atmosfera, delle acque e del suolo.

Questo ci ha permesso di moltiplicarci rapidamente, ma ha anche reso necessario consumare di più. Più bocche da sfamare, maggiore produzione agricola.

Ma c’è un “ma”: l’energia in arrivo dal Sole è fuori dal nostro controllo. La quantità di nutrienti nel suolo è finita, così come la disponibilità di acqua. Per aumentarle, abbiamo inventato nuovi processi, nuove macchine, usato più energia, bruciato più carbone, petrolio, gas. Di conseguenza abbiamo scaricato sul suolo, nelle acque e in atmosfera più scarti, rifiuti, sottoprodotti.

All’inizio eravamo talmente ignoranti da credere che la Terra fosse enorme, talmente grande da fornirci per sempre risorse e nuovo spazio, capace di ricevere ogni rifiuto senza cambiare.

Ma aumentando in numero, coltivando di più, bruciando di più e immettendo in natura sempre più rifiuti, siamo arrivati al punto di ottenere coi nostri sforzi una serie di risultati che sono l’opposto di quanto cercavamo.

Nel frattempo, quei derelitti emarginati che definiamo “scienziati” stavano studiando la Terra e i processi che si sviluppano su di essa, giungendo alla conclusione che la Terra non è infinita, non è immensa, è un sistema in cui spostare qualunque cosa genera effetti più o meno tangibili, più o meno sgradevoli e pericolosi.

Oggi sappiamo che la Rivoluzione Industriale, come tutte le rivoluzioni, è una grande fregatura, per noi stessi.

Ma ci siamo dentro fino al collo. Non è facile immaginare di bloccare il processo: smettere di comportarci come nulla stesse accadendo sarebbe ragionevole, ma si tratterebbe di un’altra rivoluzione, un processo rapidissimo, troppo per non generare guai a non finire.

Immaginate di tornare, entro 10 anni, a un modo di vivere più simile a quello del 1700 che all’attuale. Lo sviluppo tecnologico ci permetterebbe di avere di più, a parità di risorse, ma siamo aumentati in numero di alcuni miliardi. Fra cui ci sono coloro che il benessere non lo hanno mai provato.

Dovremmo consumare molto meno, mangiare molto meno, spostarci molto meno, scaldare meno le case, non cambiare continuamente vestiti e oggetti personali. Questo implicherebbe un crollo della domanda di prodotti e servizi, dunque la scomparsa di chi li fornisce. Disoccupazione e povertà per molti milioni di persone nei paesi “sviluppati”, fino a quando, decimati, non saremo tornati a un numero di abitanti proporzionale alla disponibilità di energia in arrivo dal Sole, di suolo, di acqua.

Chi verrà dopo di noi si ammalerà meno, avrà più spazio, maggiore probabilità di invecchiare bene e lasciare un mondo vivibile a figli e nipoti.

Individualmente un disastro, come specie una necessità assoluta. Negarlo, come fa chi guarda solo al profitto personale nell’arco della propria vita, sarebbe un crimine verso l’umanità.

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