Riflessioni sull’uomo e gli altri
Due animali stanno facendo parlare molto negli ultimi anni: il cormorano e il lupo. Sembra il titolo di una favola classica, ma in effetti le discussioni sulla presenza di queste due specie è molto accesa, con schieramenti più o meno netti contro o a favore di essa.
Come biologo mi confronto quotidianamente con questioni legate alla gestione della natura, intesa come insieme di ecosistemi, dunque ambienti e specie che ci vivono. Ma sono anche un pescatore dilettante a cui fa piacere avere pesci a disposizione, un appassionato di arte casearia che apprezza i prodotti dell’allevamento al pascolo, un goloso che apprezza la selvaggina. La questione dei diversi punti di vista la sento tutta.
Innanzitutto confesso di essere irritato dalla presunzione e antropocentrismo in ogni discussione. Che si parli con un cacciatore o con un animalista, il centro dell’universo sono sempre loro stessi, il loro desiderio, la loro “sensibilità”. Gli animali e le piante sono qualcosa di cui si sentono proprietari, in diritto di deciderne le sorti, come sancito molti secoli fa nella parte di Torah che noi chiamiamo Genesi. Vale la pena ricordare citando la versione in lingua italiana del libro della Genesi adottata dalla Chiesa Cattolica:
[27] Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
[28] Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.
Molti di noi ritengono che l’uomo sia entrato in competizione con il lupo millenni fa, quando colonizzò le terre poco produttive del continente eurasiatico. La vita in luoghi dove la disponibilità di vegetali nutrienti era molto più ridotta rispetto a quella dell’Africa, i nostri antenati dovettero affidarsi in modo rilevante alla caccia. Pensiamoci, in Africa esistono stagioni più o meno buone, ma in Europa, in piena glaciazione wurmiana, c’erano lunghi mesi durante i quali la produzione primaria era quasi nulla. I vegetali erano fermi, a causa delle basse temperature, o addirittura sepolti sotto la neve. Gli erbivori europei avevano, e in molti casi hanno tutt’ora, la capacità di accumulare riserve (grasso) durante la stagione estiva, per passare poi i mesi invernali con un’alimentazione scarsa, costituita spesso da erba secca, corteccia. Quell’alimentazione da sola non riesce a mantenere in vita un animale, quindi le alternative sono due: ingrassare d’estate e mettersi in letargo, oppure ingrassare d’estate e sopravvivere come si può durante l’inverno. L’uomo, nonostante sia evidentemente capace di accumulare grasso, non è esattamente fatto per questo tipo di vita. E’ un primate africano. L’unico modo per avere cibo durante l’inverno era cacciare.
Questo mise ovviamente i nostri antenati in competizione con le specie autoctone che si alimentano predando gli animali interessanti per l’uomo. Passando all’allevamento le cose non cambiarono molto, perché le greggi interessavano sia agli uomini che ad altri onnivori (orso) e carnivori (lupo, lince). Per i gruppi che vivevano in ambienti dove era possibile procurarsi dei pesci, altri competitori formidabili erano la lontra, la foca monaca, i delfini, il cormorano, gli aironi. L’uomo non ci mise molto a capire quali erano i suoi concorrenti ed aveva gli strumenti adatti a risolvere il problema: sterminarli. E’ curioso pensare che uno degli strumenti fondamentali per lo sterminio del lupo è stata la collaborazione da parte di una varietà di lupo addomesticata, il cane.
Il rapporto con gli altri predatori era necessariamente teso nella preistoria, molto più teso rispetto a oggi, ma l’uomo dovette convivere con gran parte di essi molto a lungo, perché incapace di annientare quelle popolazioni. Per millenni in Europa c’erano più lupi che uomini e anche quando il numero degli umani iniziò ad aumentare fortemente, rimanevano enormi porzioni di territorio disabitate o popolate in modo molto rado. Consideriamo che ancora in epoca storica era presente nell’Europa orientale il leone (la sottospecie asiatica).
Fa riflette il fatto che il leone, pur essendo certamente uno dei più seri problemi per i nostri antenati africani, non è mai stato screditato come gli altri predatori con cui l’uomo si è confrontato. Il problema sembra essere nato in Europa, proprio dove le risorse erano più scarse. Per questo motivo il lupo è “cattivo”, il leone no. E’ probabile che il lupo fosse effettivamente la specie più competitiva, perché anche l’orso, che pure attinge volentieri a tutte le risorse alimentari importanti per l’uomo, viene descritto come fortissimo, temibile, va cacciato ma non è “cattivo”. Anche la volpe è un problema, perché all’uomo interessava depredare i nidi, o catturare conigli e lepri che costituiscono prede anche per la volpe, ma la volpe è “furba”, è stata perseguitata conservando un po’ di simpatia.
Cappuccetto Rosso non è stata raggirata da una volpe, né da una lince. E i tre porcellini non hanno nessun problema con un orso. Leggiamo la famosa favola di Fedro, L’agnello e il lupo:
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit:
“Cur – inquit – turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?
Il lupo è proprio “cattivo”, al punto da cercare una scusa del tutto ridicola per giustificare il proprio desiderio di uccidere il povero agnellino indifeso e farne il proprio pasto. Sia chiaro che, se il lupo avesse affermato di dovere sacrificare l’agnello a qualche divinità in occasione di una festa sacra, sarebbe stato nel suo pieno diritto, ma il lupo è solo “cattivo”, non è per niente “furbo” come l’uomo.
L’apoteosi della competizione si ebbe quando l’uomo aveva ormai raggiunto una numerosità molto elevata, talvolta concentrandosi in città che richiedevano un uso intensivo del territorio coltivabile e di quello utilizzabile come pascolo. Nel corso del così detto Rinascimento si diffusero le armi da fuoco, che risultavano più potenti rispetto all’arco e alla balestra. Con un’arma da fuoco adeguata anche uccidere un orso diventa relativamente facile. Col passare del tempo il costo delle armi da fuoco diminuì progressivamente e il loro uso consentì di portare all’estinzione locale di molte specie. A volte l’uomo esagerò anche con le specie che gli interessavano, finendo per fare scomparire da ampie zone persino il cervo, per non parlare del castoro.
Nel corso del XX secolo dell’era cristiana iniziò a svilupparsi il concetto di “conservazione della natura”. Questo esisteva in effetti anche nei secoli precedenti, ma era fortemente orientato alla conservazione della “bellezza” e non di specie ed ecosistemi. La spinta per la conservazione e la reintroduzione di specie di predatori, che erano state sterminate dai nostri antenati, è stata favorita dal fatto che gran parte di noi non percepisce più la dipendenza dalla natura. Forse è assurdo, ma proprio questo senso di estraneità ha favorito la rappacificazione con tante specie che avevamo perseguitato. Questo ovviamente non vale per tutti. Il lupo continua a essere percepito come un concorrente pericoloso dagli allevatori e dai cacciatori, il cormorano, la lontra e i delfini dai pescatori.
Quando ci occupiamo di conservazione “della natura”, dobbiamo tenere conto di questi elementi essenziali, perché l’accettazione della competizione non è una caratteristica della nostra specie, né delle nostre culture. In fondo al nostro animo c’è ancora traccia della disperata lotta dei nostri antenati per sopravvivere nell’inospitale Europa wurmiana, quando un cervo in più o in meno poteva fare la differenza per la sopravvivenza di un gruppo.
Tag: arione, caccia, carnivori, conservazione della natura, cormorano, Cultura, erbivoro, greggi, leone, lontra, lupo, nature management, Orso, Pascolo, Pesca
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