La confusione fra scienza e metodo scientifico
Questo articolo è molto filosofico e lungo. La tesi è che non sia corretto confondere “scienza” e “metodo scientifico galileiano”. È come confondere una torta con la ricetta per prepararla.
So bene di essere uno fra migliaia ad avere espresso il proprio pensiero sull’argomento, come so di non essere fra quelli più preparati.
In questo articolo intendo la scienza come l’insieme di conoscenze dell’umanità. Non sono certo il primo a scriverlo. La parola stessa, che deriva dal latino, ha un significato piuttosto preciso. E’ dal verbo scire (sapere, conoscere) che deriva il sostantivo scientia, il sapere, la conoscenza. Questa definizione costituisce una premessa necessaria e fondamentale per il seguito del logos.
Nota bene, la scienza così intesa non riguarda esclusivamente il mondo fisico, ma ogni argomento su cui sia possibile acquisire conoscenza, coscienza, nozione. Quindi intendo per scienza anche quanto sappiamo sulle pure creazioni immateriali dell’intelletto umano. Ad esempio il linguaggio.
Nell’accezione comune del termine si pongono delle limitazioni che non trovo logiche. Spesso per scienza si intende solo la conoscenza di ciò che è fisico, materiale. Ad esempio si considerano scienza una serie di nozioni su come la materia sia organizzata (dalle particelle subatomiche alle aggregazioni complesse di macromolecole). A volte addirittura si personalizza il concetto di scienza. Comunemente si ascoltano frasi simili a “la scienza cura le malattie”. Il che è vero in senso lato: la scienza comprende nozioni sulle cause delle malattie, su come funzionano e sui meccanismi che le possono contrastare. La scienza non comprende nozioni e informazioni esaurienti su tutte le malattie, altrimenti saremmo potenzialmente capaci di curare ogni male. Usando della scienza, gli uomini possono contrastare le malattie, sviluppando tecniche.
Un grosso problema, fonte di confusione fra scienza e metodo, è rappresentato dal fatto che nessuno ha una conoscenza completa e assoluta su ogni cosa, o su un singolo argomento. Nessuno di noi sa come sia veramente la realtà. Abbiamo la scienza che ci è possibile possedere in questo momento, ma è imperfetta, come lo sono gli strumenti attraverso cui tentiamo di acquisirla.
Questa incompletezza della scienza fa sì che non esista, al momento e fra noi, la Scienza Assoluta (SA). Di conseguenza ci possono essere molte scienze differenti, tutte incomplete e imperfette, che possono avere la presunzione di essere la migliore e la più utile, in quanto più vicina alla Scienza Assoluta. Quest’ultima, per i religiosi, appartiene a Dio. Per chi non è religioso, la SA è ciò a cui l’umanità aspira. Ammesso che sia possibile raggiungere questa Scienza, il percorso è costituito da un progressivo incremento delle conoscenze umane. Se sapessimo già tutto, non esisterebbero ricercatori, ma solo sapienti.
Notate un corollario: la scienza può essere errata. Lo è stata spesso nel passato, probabilmente lo è oggi e lo sarà in futuro. Un neutrone non è giusto o sbagliato. Esiste o non esiste, ha determinate proprietà o non le possiede. Però può essere errato ciò che oggi sappiamo riguardo al neutrone. La scienza inoltre è certamente incompleta, sia perché non abbiamo nozioni sufficienti a spiegare tutto ciò che osserviamo, sia perché molto probabilmente non abbiamo ancora osservato tutto ciò che c’è da osservare. Ad ogni modo, la nostra conoscenza nel complesso c’è ed ha una sua grandezza (non saprei però come misurarla!).
Mi piace immaginare una funzione f che descriva una “quantità di conoscenze corrette” al tempo t: f(t). Nella mia fantasia questa funzione non descrive una retta su un piano individuato da tempo in ascissa e “grandezza della scienza” in ordinata. Immagino che in realtà f'(t) vari parecchio, assumendo addirittura valori negativi.
Per fare un esempio, ciò che sappiamo oggi sulla lingua parlata dai costruttori delle mura di Tirinto è molto meno di ciò che si sapeva 36 secoli fa, sebbene ciò che sappiamo sugli elettroni sia molto di più.
In generale comunque, immagino che la scienza acquisita tenda alla Scienza Assoluta con una crescita non lineare e probabilmente asintotica. Tradotto: non ci arriveremo mai!

Il metodo scientifico è uno strumento, grazie al quale possiamo acquisire nuova conoscenza, dunque fare aumentare il valore complessivo della scienza. Qua però entriamo nell’ambito di un conflitto lunghissimo fra filosofi. Che c’entra la filosofia? C’entra eccome! Non la filosofia spicciola che studiai al liceo, o i deliri verbali di qualche parolaio, bensì l’autentica filosofia, intesa come insieme di metodi attraverso cui l’umanità indaga ogni cosa per acquisire conoscenza.
La filosofia non è la scienza, ma uno strumento. L’individuazione di ciò che chiamiamo “metodo scientifico” attiene pienamente all’ambito filosofico. Lo scienziato, inteso come minatore di conoscenza, è un filosofo per definizione! Il sapiente no, potrebbe avere una marea di nozioni su tanti aspetti dell’universo, ma non avere idea di come questa scienza sia stata acquisita.
Eccoci al cuore della questione: lo scienziato deve scegliere i propri strumenti di indagine, ovvero il metodo. Ho usato l’espressione minatore di conoscenza perché credo sia la più calzante. Ammesso che esista una realtà, ci siano degli oggetti e dei fenomeni che li riguardano, questi esistono anche se l’umanità non ne ha ancora nozione. Non possiamo creare la conoscenza, ma possiamo estrarla. La conoscenza nasce dall’interazione dell’umanità con l’oggetto della conoscenza stessa. Ovviamente è una metafora, perché la scienza non è a sua volta un oggetto. Non è un insieme di atomi di carbonio disposti in modo tale da trovarsi sui vertici di una miriade di tetraedri, formando un cristallo che chiamiamo comunemente diamante. La metafora mi sembra però calzante, perché la scienza non salta fuori da sé, a meno di fortunati quanto improbabili casi di rivelazione da parte della divinità, che possiede la Scienza Assoluta: può fare piovere scienza, manna, fuoco o acqua a piacimento. Ma in genere, anche il Dio dell’Antico Testamento è piuttosto restio a concedere scienza. All’umanità non resta che cercarla, scavando con fatica, più o meno intellettuale.
Nella confusione che facciamo di solito, per scienza si intende anche il metodo scientifico sviluppato da Galileo Galilei. Al momento è il metodo che ha consentito di acquisire il maggior numero di nozioni rivelatesi corrette, quindi viene considerato Il Metodo Scientifico dalla maggior parte di coloro che studiano il mondo fisico. Con importanti limiti.
Il metodo scientifico galileiano nel senso stretto è sperimentale, a differenza di quelli adottati prima del XVI secolo e di gran parte di quelli proposti in seguito. La sperimentalità di questo metodo è ciò che lo rende antipatico a molti filosofi, perché sembra troppo “terra terra” rispetto al fiorire di travolgenti flussi di parole, che descrivono ragionamenti più o meno intricati, propri della parte più degenere della filosofia: quella che parla solo di sé stessa.
Sperimentalità
Il sasso cade per 1 metro. Impiega lo stesso tempo sia che pesi 1 kg, o che ne pesi 4. Però se il sasso cade per 1 metro, impiega più della metà del tempo necessario a cadere per 2 metri. Questi fatti possono essere verificati da chiunque. Misurando più e più volte tempi e dislivelli di caduta, si scopre che il sasso si muove con moto accelerato e la sua velocità aumenta di (circa) 9,807 m/s per ogni secondo di caduta. Troppo “terra terra” per gli azzeccagarbugli.
Un guaio con il metodo scientifico galileiano è che non possiamo sperimentare proprio tutto. A volte facciamo delle congetture, molto ragionevoli, su qualcosa che non abbiamo ancora osservato, ma spiegherebbe ciò che abbiamo già potuto osservare. Questo è il motivo per cui esiste una branca della Fisica che viene definita “teorica”. Ad ogni modo, abbiamo ampi margini per fare molte osservazioni e tentare di dedurre da esse quali siano le leggi che governano la realtà, ovvero possiamo estrarre conoscenza. Il fuoco scotta, è un’affermazione prodotto di innumerevoli osservazioni effettuate da milioni di individui in ogni angolo del pianeta Terra. Purtroppo molti di noi da bambini non ci hanno creduto, aumentando il numero di osservazioni relative al fenomeno di riscaldamento dei tessuti di una mano oltre i 50 °C.
Un altro limite di un metodo fondato esclusivamente sulla ripetitibilità di un esperimento consiste nell’impossibilità di sperimentare tutto a nostro piacimento. Misurare quanto tempo impiega una pietra a cadere è un esperienza ripetibile, misurare l’intensità della radiazione emessa da un quasar dipende dal fenomeno in sé e dalla nostra capacità di effettuare la misura, ma non siamo noi a decidere “oggi il quasar emetterà radioonde e io ne misurerò l’intensità”. Allo stesso modo, posso contare il numero di invertebrati sul fondo di un torrente a primavera nello stesso luogo per 20 giorni di fila, oppure in 20 luoghi diversi, ma non posso costruire il torrente con quelle caratteristiche e ripetere sempre la stessa osservazione fino allo sfinimento.
Quindi attenzione: il metodo scientifico sperimentale deve per forza avvalersi anche dell’osservazione di fenomeni “spontanei”, scegliendo dunque come osservare fenomeni che si verificherebbero comunque. Questo complica terribilmente le cose, ma l’alternativa consiste nel non fondare le nostre ipotesi su osservazioni, ovvero non applicare il metodo scientifico galileiano. Lo stesso Galileo Galilei fece così, nel verificare la bontà del modello cosmologico copernicano. Il buon Galileo non avrebbe mai potuto costruire un sistema solare e farlo girare per vedere come funziona, mentre avrebbe potuto gettare pesi da una torre, meglio se pendente, in modo che cadano lontano dalla base. In realtà non fece nessuna delle due cose.
Farlo sapere agli altri e crederci
Fra gli equivoci che complicano la distinzione fra scienza e metodo c’è la trasmissione della scienza. Che si usi la trasmissione orale o si scriva, è necessario fare sempre delle premesse: il metodo usato per acquisire una determinata nozione deve essere chiaro. Molti pensano che si abbia “fede nella scienza”, intendendo con questo la fiducia assoluta nei confronti della veridicità di ogni legge enunciata in esito a un processo che si è svolto secondo il metodo scientifico galileiano. Questa fede in realtà non esiste, fra gli scienziati che adottano il metodo galileiano. Non c’è fede nemmeno nel metodo. Semplicemente si valuta quale sia il rendimento di ogni metodo e, se siamo onesti, scopriamo che al momento il miglior rapporto sforzo / conoscenze verificate è quello garantito dal metodo galileiano. Esistono tuttavia scienziati con un atteggiamento fortemente “religioso”, che in ultima analisi li allontana dalla corrente del pensiero a cui asseriscono di aderire.
Ciò che è fondamentale nella trasmissione della scienza non è la fede ma la fiducia. Non possiamo invitare l’intera umanità a partecipare ai nostri esperimenti e osservazioni, ma possiamo raccontare in modo dettagliato come abbiamo svolto le nostre osservazioni, quali dati abbiamo ottenuto, in quale modo li abbiamo usati per intuire una legge naturale o per dimostrare che la nostra intuizione è corretta. Ogni articolo scientifico che si rispetti è in effetti composto da diversi paragrafi: materiali e metodi (come ho fatto le osservazioni, registrato ed elaborato i dati), risultati (i dati acquisiti), discussione (elaborazione, cosa ho capito e confronto con i risultati di altri), conclusioni. Il tutto accompagnato dalla bibliografia, ovvero un elenco di opere che costituiscono la base da cui siamo partiti nel nostro lavoro. Quest’ultima parte sembra noiosa, ma è fondamentale: il ricercatore fa sempre un piccolo passo oltre il punto in cui sono giunti altri prima di lui. Se non si appoggia sui risultati già acquisiti, non può fare quel passo. Questa è una differenza incredibile fra l’applicazione del metodo scientifico galileiano e metodi di indagine speculativi, che possono partire da presupposti creati ad hoc dal pensatore. La storia e l’attualità sono costellate di persone che traggono conclusioni a partire da proprie considerazioni originali, non generate da un percorso di progressiva costruzione della scienza.
Un’altra cosa che dobbiamo notare è che, nella costruzione della scienza con metodo scientifico galileiano, chiunque deve potere verificare la bontà del fondamento da cui si è partiti. Proprio per quello si cita la bibliografia. E all’interno di ciascuna di quelle opere c’è la bibliografia che illustra da dove siano partiti gli autori, così facendo a ritroso fino a dove c’è memoria scritta delle scoperte dell’umanità. Il fatto che gran parte di noi scienziati sperimentali non verifichi tutte le fonti andando a ritroso nei secoli, viene spesso confuso con una cieca “fede” nella scienza, mentre si tratta di fiducia nei colleghi. Ad ogni modo, quando leggiamo un’opera scientifica possiamo anche valutare i metodi utilizzati e seguire passo dopo passo i processi che hanno portato a ritenere che quel particolare fenomeno funzioni nel modo proposto dall’autore. Non è fede, lo ribadisco.
Questa ulteriore confusione fra fede, fiducia e capacità di analisi critica dell’opera altrui genera molta confusione. Comunemente si sente dire “lo ha detto il tale” e “dato che ha molto seguito deve per forza essere vero”. Siamo chiari, la teoria tolemaica, che prevedeva la Terra al centro dell’Universo e la rivoluzione di tutti gli astri attorno ad essa era errata, ma ci hanno creduto in milioni per molti secoli. Perché? Fondamentalmente perché a un osservatore che sta sulla Terra quel modello può andare bene. Se non abbiamo grandi pretese riguardo alla capacità di prevedere la posizione di un pianeta rispetto al nostro punto di osservazione o non dobbiamo spedirci una sonda, questo modello ci può andare bene come quello alternativo proposto da Copernico. Nessuno di noi percepisce la rotazione della Terra, mentre vediamo il Sole levarsi al mattino, attraversare il cielo e tramontare la sera. L’osservazione è corretta. Benissimo. Il guaio è che se iniziamo ad annotare la posizione del Sole e dei pianeti rispetto a uno sfondo che ci sembra fisso (stelle fisse), c’è qualcosa che non convince. Chi credeva che il sistema tolemaico fosse corretto non lo faceva tanto perché era compatibile con le osservazioni effettuate, ma piuttosto perché era compatibile con quanto scritto nel Libro della Genesi (בראשית). Una religione non può accettare che esistano mezze verità, quindi se la Genesi riporta un modello errato, crolla la validità di tutto. Nello sviluppo della scienza non è così.
Al fondamento del metodo scientifico galileiano sta proprio quella premessa di parzialità e fallibilità della scienza che ho fatto qualche paragrafo fa. Per lo scienziato sperimentale un’osservazione può dimostrare che la scienza posseduta fino a quel momento sia errata. E’ nota una frase scritta da Albert Einstein in una lettera a Max Born del 4 dicembre 1926: nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. Trovare un errore attraverso l’osservazione è il modo per eliminarlo, se l’errore non viene rilevato, continueremo a sbagliare, fino a quando ci renderemo conto che la nostra teoria non è in grado di spiegare ciò che vediamo o di prevedere qualcosa. Il buon Galileo andò invece a ficcarsi in un grosso pasticcio, perché la teoria di Copernico era del tutto incompatibile con quanto scritto nella Genesi a chiare lettere e nel campo della fede un solo errore fa cadere tutto il castello. Le Scritture non sono “teorie”, ma piuttosto “verità rivelate”. Una soluzione al problema, per togliere dall’imbarazzo tutti, consisterebbe nell’osservare che la verità rivelata da Dio agli uomini è certamente corretta, ma gli uomini non hanno capito bene.
Il sistema di pensiero che spinse la Chiesa Cattolica a sostenere a spada tratta il modello geocentrico tolemaico è lo stesso che spinge oggi molti a difendere ogni singola tesi o teoria, nella costante paura che la falsità di una sola piccola parte della propria scienza invalidi automaticamente tutto il resto. Così non è, per gli scienziati sperimentali. Per nostra fortuna la rigidità della Chiesa Cattolica è venuta meno e nessuno rischia al momento il rogo per sostenere tesi incompatibili con le Sacre Scritture, ma ancora oggi si sente dire che “ci sono migliaia di persone che ci credono, quindi è così”. E “chi sei tu per dire che non è vero?”. E’ qualcosa di ricorrente quando si commette l’errore di discutere con coloro che non adottano il metodo scientifico galileiano. Caratteristici sono i dibattiti con coloro che sostengono che la Terra sia piatta o altre teorie non dimostrabili, in realtà nessuno scienziato sperimentale dovrebbe prendersela, perché è ovvia l’impossibilità di confronto con chi adotta un metodo completamente diverso dal nostro e non tiene per nulla in considerazione i principi su cui basiamo la nostra ricerca della conoscenza.
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