Dotôr, c’al cjali ce biele aghe! Parcé pò no son trutis?
(Dottore, guardi che bell’acqua! Perché mai non ci sono trote?)
Questa è una domanda che mi sono sentito rivolgere alcune centinaia di volte, all’anno, durante la mia carriera di idrobiologo. Anche ammesso che il concetto di acqua bella sia coincidente per l’umano e la trota, non è detto che questo basti. In effetti sono solito rispondere con una battuta ormai vecchia “Ancje te vascje di bagno di me mari e je biele aghe, ma no podin vivi trutis culì pò!” (Anche nella vasca da bagno di mia madre c’è della bell’acqua, ma non possono certo vivere delle trote lì).
In effetti perché un animale viva in un certo luogo è necessario che trovi habitat fisico adatto, condizioni ambientali adeguate (temperatura ad esempio), cibo, habitat adatto alla riproduzione e alla crescita dei piccoli, o per lo meno che ci sia un collegamento percorribile fra quel tipo di habitat e quello dove vivono gli adulti.
Abbiamo visto l’esempio degli uccelli migratori. Se, per assurdo, in un anno per tutto il mese di febbraio scomparissero tutti gli insetti volanti in Africa, durante l’inverno morirebbero tutte le rondini e conseguentemente, pur in presenza di condizioni eccellenti per la loro riproduzione in Friuli, non avremmo più rondini. Avremmo habitat, ma non la specie.
Esistono specie che sono decisamente molto adattabili e risultano essere spesso “vincenti”. Ad esempio prendiamo una specie non migratrice, moderatamente mobile e decisamente comune come Squalius squalus (cavedano). Questo pesce vive in un gran numero di habitat diversi. Lo possiamo trovare nei laghi come nei torrenti di fondovalle, nei fiumi planiziali e giù fino alla foce. Mangia più o meno di tutto e tollera un ampio intervallo di temperature. Ovviamente è ben felice se in acqua c’è molto ossigeno, ma se ce n’è poco si accontenta, non quanto una carpa, ma molto più di una trota. Ho visto cavedani nuotare allegramente dove le trote morivano per ipossia. Quando viene il momento di deporre le uova, il cavedano le libera sul fondo, ghiaioso o roccioso, ma non disdegna altri substrati. La trota esige un substrato ghiaioso ciottoloso con spazi interstiziali liberi, bassa temperatura e molto ossigeno disciolto. E’ chiaro che il cavedano sia vincente in ambienti acquatici dove le temperature tendono ad aumentare nel corso degli anni. Ma c’è anche dell’altro, il cavedano depone le uova a pochi metri da dove vive, ne produce tantissime e anche se capita del cannibalismo, questo non costituisce un problema. Al contrario Salmo marmoratus (trota marmorata) è una trota in cui il cannibalismo è molto comune, ma la prole è poco numerosa. Quindi la trota marmorata dovrebbe andare a deporre lontano da dove vive, per non cadere in tentazione e divorarsi i propri figli come Kronos. Se lo spostamento non è possibile, anche ammesso che ci sia un habitat adatto alla riproduzione (che non coincide con quello adatto agli adulti) la popolazione di questi pesci sarà fortemente svantaggiata, ci saranno pochi giovani e qualunque evento sfavorevole potrà condurre all’estinzione locale. Ecco perché, dove gli habitat ci sono ma sono fortemente frammentati, no son trutis.
La questione della frammentazione degli habitat è veramente importante. Se l’habitat adatto a una specie c’è, ma le zone in cui si trova sono separate le une dalle altre da qualche ostacolo insormontabile, la situazione è di grave pericolo per la specie. Abbiamo visto l’esempio della riproduzione di una specie mobile, ma anche quelle poco mobili potrebbero trovarsi in seria difficoltà. Se pensiamo agli uccelli non troviamo grandi esempi al riguardo, dato che questi animali quasi sempre volano, dunque trovano il modo di superare ostacoli incredibili. Anche una gran parte degli insetti volano, ma non hanno tutti la capacità di un uccello. In genere siamo portati a pensare che gli insetti non migrino. In effetti le specie che lo fanno non sono molto numerose. Il comportamento migratorio non è tuttavia rarissimo fra i Lepidoptera (farfalle e falene). Prendiamo ad esempio Vanessa cardui (vanessa del cardo), una farfalla che probabilmente avete visto tutti. Ebbene, questa specie è solita compiere una migrazione dal Nordafrica all’Europa centrale e centro settentrionale, volando ad alta quota. Se qualcosa andasse storto nei prati attorno casa mia l’estate prossima, probabilmente osserverei ancora le farfalle negli anni successivi. Ma allo stesso modo, se qualcosa impedisse la migrazione potrei non vederne nonostante la disponibilità di habitat.
Se penso invece a una specie non migratrice, come il tricottero Philopotamus ludificatus, comprendo meglio il problema della frammentazione. Questa specie è piuttosto comune nei piccoli torrenti, rii e ruscelli montani del Friuli e forma una popolazione anche nel ruscello che entra nella Grotta di Attila, nella zona del Pian di Lanza non lontano dalla Sella di Valdolce (Alpi Carniche). Attorno a quella grotta ci sono altri ruscelli. Il Philopotamus ludificatus non vive nella piccola torbiera a monte della grotta, perché ha bisogno di acqua corrente, verso valle non sappiamo esattamente dove si intrufoli l’acqua, ma sappiamo che il torrente perenne più vicino si trova a circa 300 metri dalla grotta. Il tricottero adulto è in grado di volare, anche se sembra che questa popolazione ami vivere nella grotta. Se qualche imbecille scaricasse chili di insetticida nel ruscello che percorre la grotta, estinguerebbe la popolazione del tricottero lì dentro e, quasi certamente, molte altre popolazioni nelle acque sotterranee e superficiali ad essa collegate. Ma se il ruscello che si trova a 300 metri non fosse connesso con la grotta e non ricevesse l’acqua avvelenata, è assai probabile che entro un tempo più o meno breve gli adulti volanti di Philopotamus ludificatus che ci vivono raggiungano nuovamente l’ingresso della grotta e, trovando habitat e condizioni idonee per la vita delle larve, il popolamento venga ripristinato. Questo non accadrebbe se stessimo parlando di una specie che non vola, mentre se la popolazione più vicina si trovasse a 20 km di distanza, potrebbero volerci molti anni, prima che un adeguato numero di individui adulti erratici raggiunga la grotta e rifondi una popolazione. Questo esempio include l’intervento umano, anzi di umani idioti, ma non pensiate che in passato non si sia immaginato di scaricare DDT in tutti gli ambienti acquatici del mondo!
Oltre alla connessione, conta molto la dimensione dell’area dove è presente un habitat, la sua estensione. Più è piccola l’area, meno è probabile possa ospitare una popolazione stabile nel tempo. Ovviamente dipende tutto dalle caratteristiche dell’organismo di cui parliamo. Ci sono specie che hanno bisogno di molto spazio, altre che si accontentano di poco. Prendiamo le piante. Ogni individuo occupa una posizione fissa durante tutta la sua vita. In teoria potrebbero esserci molte migliaia di individui in una superficie ridotta. Certo, se qualcosa va storto, la popolazione si estingue, lo abbiamo detto poco fa. Per alcuni animali invece servono superfici enormi. Prendete ad esempio il fantastico Gypaetus barbatus (gipeto). Nonostante abbia avuto in passato una totalmente immeritata fama di predatore, questo maestoso uccello si ciba per lo più di ossa e comunque è un necrofago: mangia carcasse, non uccide le sue prede. Immaginate quanta energia possa ricavare il gipeto da una scorpacciata di ossa. Sappiamo che il midollo è ricco di energia e nutrienti, ma è poco. Un gipeto adulto deve mangiare un chilo di ossa al giorno o poco meno. Per fare vivere una coppia servono dunque circa due chili di ossa al giorno e ben di più quando c’è un piccolo da sfamare. Le carcasse non si trovano facilmente. Tutti i grossi animali selvatici (per grosso intendo un camoscio, un cervo, ecc) prima o poi muoiono, ma non è detto che muoiano in un posto dove il gipeto possa trovare la carcassa. Se la densità del cibo è scarsa, bisogna ampliare l’area in cui questo viene cercato. Ed è così che grandi uccelli necrofagi devono per forza avere areale molto grande. Immaginate cosa potrebbe mangiare un gipeto se vivesse in Amazzonia, dove le carcasse sono tutte nascoste alla vista di un uccello che voli sopra le chiome degli alberi. Ovviamente ci sono necrofagi anche in Amazzonia, ma cercano le carcasse in un modo diverso. Il gipeto ha bisogno di grandi estensioni aperte, considerato che vive in aree relativamente povere in fatto di carcasse. Sappiamo bene che i necrofagi hanno vita più facile nelle savane africane. Ad esempio Gyps africanus (grifone africano) ha a disposizione le famose grandi mandrie di erbivori della savana, con un piccolo problema di competizione con altri animali, ma accontentandosi di quanto resta ha decisamente meno problemi di un gipeto in Europa.
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