Alcuni monumenti funerari preistorici nel territorio di Urzulei (Sardegna)
Un paio di domeniche fa mi è capitato di tornare a passare accanto ai resti di una tomba dei giganti, quella presso Su Campu ‘e sa Carcara, in Supramonte nel territorio di Orthullè (Urzulei per noi continentali). Il nome della località significa “Campo della Fornace da calce”. Questa tomba dei giganti era riconoscibile ma non “messa bene” la prima volta in cui la vidi. Ora è stata in parte liberata da vegetazione e terra, restaurata e resa più visibile. La potete trovare qui (mappa).
Nel giorno in cui si celebra “Sa die de sa Sardigna” (il Giorno della Sardegna) in ricordo della ribellione contro la dominazione piemontese sull’Isola, vi mostro un paio di specie di piante che rientrano evidentemente nella categoria che qui viene definita “sos istranzos”, ovvero gli stranieri.
Acacia saligna è una specie di origine australiana, con bellissimi gruppi di infiorescenze globose di colore giallo che ricordano quelle della mimosa ornamentale (Acacia dealbata). Questo esemplare è stato fotografato nel Sud dell’Isola, precisamente poco distante dalla celebre località balneare di Chia, dove concorre a formare una boscaglia mista in cui risulta talvolta decisamente dominante. Poco distante da questa ho trovato alcune piante di Casuarina equisetifolia, specie il cui areale di origine si trova attorno all’Oceano Indiano e parte di quello Pacifico. Vidi quest’ultima specie per la prima volta sull’isola di Reunion, in Oceano Indiano, e l’ho ritrovata qui in mezzo al Mediterraneo.
Acacia saligna, gruppo di infiorescenze e foglie
Sono due esempi di specie introdotte, che fanno evidentemente ormai parte del paesaggio sardo, ma che nulla hanno a che vedere con la flora locale. Accanto ad esse si osservano spesso impianti di Eucalyptus sp. e non mancano nella letteratura tecnica e divulgativa riferimenti alla loro funzione di piante “pioniere” e “stabilizzatrici”, spesso in riferimento alla capacità di contribuire alla stabilità delle dune costiere. Sulla necessità di usare specie alloctone a questo scopo discuteremo in un prossimo articolo.
La loro presenza ha alterato evidentemente la biodiversità locale, ma se non ne parliamo fra ecologi potremmo finire per dovere discutere sul fatto che introdurre specie aumenti la biodiversità, intesa come numero di specie diverse presenti in un dato territorio. Questa conclusione sarebbe corretta se le specie introdotte si inserissero senza prendere il posto, o senza interferire con la presenza di quelle indigene. Questo non accade mai, semplicemente perché l’introduzione di nuove specie determina una modificazione nel sistema. È come aggiungere un ingranaggio a una macchina e pretendere che funzioni come prima soltanto perché si è incastrato per bene.
Più evidente è l’alterazione di ciò che chiamo labioidentità (o identità biologica) del territorio. Il concetto di bioidentità in letteratura viene riferito prevalentemente, se non esclusivamente, all’identità dell’individuo e al suo corredo genetico unico, mentre da ecologo la riferisco all’ecosistema. La composizione in specie della componente biotica di un ecosistema, in particolare, è una caratteristica distintiva, esattamente come per noi lo è la combinazione di caratteri morfologici (colore di capelli e occhi, forma del naso ecc) che ci permette di distinguere al primo sguardo un individuo dall’altro.
Quattro passi fino alla cascata di Capo Nieddu (Cuglieri, Sardegna)
L’immaginario collettivo riguardo alla costa sarda è pieno di grandi spiagge di colore chiaro, intervallate a scogliere rossastre di granito o, più raramente, biancheggianti di calcari. Eppure questa immagine non è accurata, per chi conosca in modo più approfondito la Sardegna. Geologicamente l’isola è ricchissima, con una grande varietà di rocce affioranti. Sulla costa occidentale, che nella parte centrale dell’isola è poco frequentata dai turisti, osserviamo per molti chilometri colori scuri, piccole spiagge ciottolose, falesie a picco sul mare.
La cascata di Capo Nieddu, attiva nel mese di aprile 2022
Se lasciate le fantastiche e celebrate spiagge del Sinis e viaggiate verso Nord, attraverserete una zona di scogliere chiare, ma giungerete infine a falesie di colore bruno e dall’aspetto selvaggio, ai cui piedi non c’è spazio per le distese sabbiose. Questo è il paesaggio generato dai basalti e vi propongo di visitare in particolare la falesia da cui precipita, quasi direttamente in mare, un piccolo torrente nei pressi di Capo Nieddu (vedi mappa). Non a caso “nieddu” in sardo significa “nero”. E certamente il colore della falesia contrasta con quello che avrete visto passando nei pressi di S’Archittu.
Fra Sassari e Porto Torres, su una zona pianeggiante non lontana dal solco del rio d’Ottava, si erge un curioso rilievo che viene chiamato oggi Monte d’Accoddi. Il suo punto culminante è tutt’altro che naturale, dato che è occupato da una delle più importanti e interessanti opere costruite da umani in Sardegna.
Vista della struttura dalla rampa di accesso
Nel sito di Monte d’Accoddi possiamo osservare oggi una grande struttura, composta da due piattaforme sovrapposte a cui si accede mediante una lunga rampa sul versante meridionale.
La prima volta in cui l’aereo con cui stavo raggiungendo Cagliari fece l’avvicinamento dal lato del Campidano, notai diversi elementi morfologici che non sono comuni nel mio Friuli. Fra questi degli altopiani tavolari, perfettamente piatti, con i bordi costituiti da una bassa parete che sovrasta pendii molto regolari. Avevo visto cose simili in Giordania e foto di morfologie analoghe presenti in Spagna e nelle Americhe, ma qui erano a portata di mano. Gli spagnoli le chiamano mesas (tavole), i sardi jaras, tradotto in “giare”.
Paesaggio della Giara all’inizio dell’inverno
Ce ne sono diverse di jaras, ma quella più famosa è quella detta “di Gesturi” (vedi mappa), poiché è il nome del Comune che occupa la maggior parte della sua superficie. Questo altopiano è famoso anche fuori dalla Sardegna, perché ospita piccoli gruppi di cavalli selvaggi, i celebri Cavalli della Giara per l’appunto.Dopo avere guardato per troppe volte dal cielo le jaras, ho deciso di andarci, col pretesto di vedere i cavalli.In realtà dei cavalli ho visto solo impronte e sterco, ma il motivo è semplicemente dovuto a questioni geologiche, climatiche ed ecologiche.