Archive for the ‘Thoughts’ Category

Pagare per pubblicare

Maggio 15, 2023

Una grave minaccia per il futuro dell’umanità

Purtroppo non faccio ricerca, quindi non ho nulla da pubblicare, ma sono molto contrariato dal fatto che i journals chiedano agli autori di pagare una tariffa dai 1100€ in su per un articolo.

Sia chiaro, se fossi ricercatore e avessi fondi per fare ricerca, potrei prevedere l’accantonamento di quanto necessario per pubblicare, ma è una questione di principio: il ricercatore sta cedendo al resto dell’umanità nuova conoscenza, che gli è costata già denaro, ma soprattutto lavoro, tempo. Qualcuno ci sta cedendo qualcosa e, dopo avere lavorato, deve pure pagare per farlo!

Lo so che pubblicare è una necessità per i ricercatori, so che se non lo fanno non avranno futuro, questo rende ancora più severo il mio giudizio sugliveditori, che mettono a rischio l’intera umanità.

Non solo decidono quale conoscenza meriti di essere diffusa (o premiata), ma addirittura si fanno pagare!
Lo so, pubblicare ha dei costi, anche solo su web. Revisione, valutazione, impaginazione, gestione degli archivi, costi della connessione e via dicendo.

Una rivista seria, pure se solo in formato elettronico, ha bisogno di personale a tempo pieno e collaboratori a chiamata, quindi deve sostenere costi. Ma stiamo parlando di fare ricadere questi costi sulle persone (o istituzioni) che stanno lavorando per aumentare le conoscenze dell’umanità.

Dato che non sono comunista, considero legittimo che si faccia impresa e si tragga profitto da attività che non nuocciano agli altri. Ma escludo da tale possibilità alcune attività, fra cui la sanità, l’istruzione, la sicurezza, la ricerca scientifica.

Facciamo soldi su tutto il resto, io stesso guadagno facendo il tecnico e usando le conoscenze scientifiche, ma non accetto l’idea che i ricercatori debbano essere ricattati e per cedermi quelle conoscenze!

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A cosa serve?

Maggio 9, 2023


Molto spesso chi non si occupa di scienze naturali chiede: “questo animale a cosa serve?“. Molti naturalisti si incavolano e non rispondono. Io in genere dico la verità: non sempre lo sappiamo, ma se esiste ha certamente un funzione.

Osserviamo dei sistemi estremamente complessi, come fossero enormi meccanismi pieni di ingranaggi, pulegge e cinghie, costruiti secondo il criterio della massima economia. C’è solo l’essenziale per il funzionamento della macchina, il superfluo non può esistere. Ogni µg di carbonio deve essere usato, ogni mJ di energia deve essere usato.

Per gran parte degli umani questo è assurdo, perché l’utilità è soggettiva: deve essere utile agli umani stessi, non avere una funzione qualunque. Ad esempio le zanzare non servono a nulla, anzi danno fastidio. E le zecche? E le vipere? Egli orsi? E la gramigna?
Ah no, aspetta, con la gramigna (Cynodon dactylon (L.) Pers., 1805) si fanno decotti “depurativi”. Cosa cactus significhi “depurativo” non l’hanno ancora capito medici e biologi, ma c’è un certo mercato di questo genere di prodotti. Ecco, dunque la gramigna è utile! Ma non lo era per i nostri bisnonni, che se la trovavano fra i piedi e riduceva per competizione la produttività dei campi di altre Poaceae, ad esempio grano e orzo, oppure infestava l’orto sottraendo nutrienti alle piante utili (per loro). Dunque la gramigna è diventata utile, ma un tempo non lo era. Come ha fatto a cambiare? Si è evoluta? No, semplicemente noi umani abbiamo ideato un modo per usarla.

Alcuni Hymenoptera vengono percepiti come utili.

Le api!
Se si estinguessero le api ci estingueremmo tutti. È un’affermazione perentoria, attribuita spesso a vari personaggi famosi più o meno connessi all’ambito scientifico, del tutto priva di senso e falsa.
Il punto è che le api sono considerate utili da noi umani perché riconosciamo loro almeno due funzioni importanti.

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Identità biologica

aprile 28, 2023

Nel giorno in cui si celebra “Sa die de sa Sardigna” (il Giorno della Sardegna) in ricordo della ribellione contro la dominazione piemontese sull’Isola, vi mostro un paio di specie di piante che rientrano evidentemente nella categoria che qui viene definita “sos istranzos”, ovvero gli stranieri.

Acacia saligna è una specie di origine australiana, con bellissimi gruppi di infiorescenze globose di colore giallo che ricordano quelle della mimosa ornamentale (Acacia dealbata). Questo esemplare è stato fotografato nel Sud dell’Isola, precisamente poco distante dalla celebre località balneare di Chia, dove concorre a formare una boscaglia mista in cui risulta talvolta decisamente dominante. Poco distante da questa ho trovato alcune piante di Casuarina equisetifolia, specie il cui areale di origine si trova attorno all’Oceano Indiano e parte di quello Pacifico. Vidi quest’ultima specie per la prima volta sull’isola di Reunion, in Oceano Indiano, e l’ho ritrovata qui in mezzo al Mediterraneo.

Acacia saligna, gruppo di infiorescenze e foglie

Sono due esempi di specie introdotte, che fanno evidentemente ormai parte del paesaggio sardo, ma che nulla hanno a che vedere con la flora locale. Accanto ad esse si osservano spesso impianti di Eucalyptus sp. e non mancano nella letteratura tecnica e divulgativa riferimenti alla loro funzione di piante “pioniere” e “stabilizzatrici”, spesso in riferimento alla capacità di contribuire alla stabilità delle dune costiere. Sulla necessità di usare specie alloctone a questo scopo discuteremo in un prossimo articolo.

La loro presenza ha alterato evidentemente la biodiversità locale, ma se non ne parliamo fra ecologi potremmo finire per dovere discutere sul fatto che introdurre specie aumenti la biodiversità, intesa come numero di specie diverse presenti in un dato territorio. Questa conclusione sarebbe corretta se le specie introdotte si inserissero senza prendere il posto, o senza interferire con la presenza di quelle indigene. Questo non accade mai, semplicemente perché l’introduzione di nuove specie determina una modificazione nel sistema. È come aggiungere un ingranaggio a una macchina e pretendere che funzioni come prima soltanto perché si è incastrato per bene.

Più evidente è l’alterazione di ciò che chiamo la bioidentità (o identità biologica) del territorio. Il concetto di bioidentità in letteratura viene riferito prevalentemente, se non esclusivamente, all’identità dell’individuo e al suo corredo genetico unico, mentre da ecologo la riferisco all’ecosistema. La composizione in specie della componente biotica di un ecosistema, in particolare, è una caratteristica distintiva, esattamente come per noi lo è la combinazione di caratteri morfologici (colore di capelli e occhi, forma del naso ecc) che ci permette di distinguere al primo sguardo un individuo dall’altro.

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Gli umani e gli orsi sono parte degli ecosistemi

aprile 20, 2023

Ho letto le dichiarazioni di Carlo Papi, padre di Andrea, ucciso dall’orsa Jj4 in Trentino mentre correva nei boschi.

Ciò che ha detto Papi, pur in un momento di dolore che fatico persino ad immaginare (perdere un figlio!), è molto vero, misurato e intelligente. Riporto dall’articolo pubblicato su Open Online:

Perché secondo lui la morte di Andrea «si poteva evitare. Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi: cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco. Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio».

Qui c’è ciò che dovremmo incorniciare e diffondere fra tutti i cittadini. Non esiste uno steccato che separa l’ambito umano da quello della “natura”. I boschi non sono uno zoo, i paesi e le città non sono isole. Gli umani fanno parte degli ecosistemi esattamente come gli orsi, gli scoiattoli, i coleotteri. Solo che gli umani sono molto bravi a modificare gli ecosistemi in brevissimo tempo. Non che gli altri organismi siano incapaci di farlo, ma gli umani sono veloci e possono decidere. Possono decidere! È il famoso intelletto di cui ci vantiamo tanto.

Quando ero giovane e studiavo biologia all’Università, una parte dei miei insegnanti era di quella che definisco oggi la “vecchia scuola”, con in mente una netta divisione fra ambito umano e ambito naturale ed un approccio riduzionistico all’ecologia. Altri invece avevano un approccio olistico. Badate bene, in Ecologia il termine olistico non ha significato coincidente con quello della stessa parola usata in ambiti non scientifici (più o meno a sproposito). Significa che non si considera un elemento del sistema alla volta, ma si riconosce che ciascuno di essi interagisce con gli altri influenzandone il funzionamento e l’esistenza stessa.

Dunque, per me e per molti altri ecologi, gli umani sono parte del sistema e bisogna tenerne conto. Quindi non basta sapere di avere nel complesso una certa superficie di habitat classificati idonei all’orso, ma anche sapere quale sia la dimensione delle singole particelle di habitat disponibile, quanto siano distanti le une dalle altre, come siano connesse, con quali altri particelle confinino, come e quanto gli umani usino quelle aree, quali altre specie o caratteristiche morfologiche e geologiche abbia l’area da grande a piccola scala.

Voi mi direte che sicuramente chi ha elaborato il piano per la reintroduzione degli orsi in Trentino ha tenuto conto di tutte queste cose. Non l’ho letto, ma suppongo che sia così.

Cito dal sito web del progetto LIFE Ursus: I risultati sono incoraggianti: circa 1700 km2 risultano essere idonei alla presenza dell’orso e più del 70% degli abitanti si sono detti a favore del rilascio di orsi nell’area.

Il punto però sta in quello che dice Carlo Papi: bisogna preparare gli umani al cambiamento!

Innanzitutto si informano gli umani, in modo chiaro. Nel caso della reintroduzione dell’orso bisogna mettere sul tavolo chiaramente quali sono le possibili interazioni fra quella specie e la nostra. È fondamentale. Alcuni miei colleghi, impegnati nella conservazione della biodiversità, credono che questo non sia importante, perché abbiamo una sacra missione: tutelare o ripristinare la biodiversità. La sacra missione prevede, in questo approccio, di fregarsene di cosa pensino i brutti, ignoranti e pidocchiosi umani. L’approccio è totalmente sbagliato, lo dirò a sfinimento. Noi scienziati non siamo divinità, siamo quelli che hanno il compito di comprendere il funzionamento dell’Universo e spiegarlo a tutti gli altri. Spiegarlo a tutti gli altri.

Prima di reintrodurre qualunque specie ci sono una serie di passaggi necessari, ciascuno di essi deve essere propedeutico al successivo, con un meccanismo di controllo: se non si supera un passaggio, non si va avanti. È naturale e logico. Dunque si parte valutando se le caratteristiche morfologiche, geografiche, ecologiche di un certo territorio siano adeguate per pensare a una reintroduzione, quindi si valutano i motivi della scomparsa di una specie e ci si chiede: le cause sono state rimosse? Se si, si procede, se no bisogna operare innanzitutto per rimuovere le cause della scomparsa. Esiste un modo per rimuovere le cause della scomparsa? Se si, si prosegue nella progettazione, se no ci si ferma. È economicamente e socialmente fattibile la rimozione delle cause di scomparsa della specie? Se si, si progetta tenendone conto, se no ci si ferma. Questa è la Via.

Uno di questi passaggi è fare accettare in modo consapevole la specie agli umani. Perché le azioni che non siano comprese, accettate e sostenute dalla comunità che vive in una certa area, o da coloro che la frequentano temporaneamente, non possono avere successo. Il trucchetto di non spiegare per bene le cose, per paura che “la gente” si opponga o si metta di traverso, è controproducente. È necessario avere l’appoggio della gente. Il fatto che questa gente non abbia tutte le conoscenze necessarie non è ostativo, è compito nostro fornirle in modo semplice e chiaro. Io non so nulla di cardiochirurgia, ma se mi spiegassero che ho la valvola mitralica fatta male e l’unico modo per salvarmi la vita è operare e sostituirla, pur continuando a non capire nulla di cardiochirurgia, sarei ben felice di dare il mio consenso all’operazione. Non so nemmeno nulla di ingegneria civile, ma se mi dicono che bisogna spendere 10 milioni per costruire un ponte in modo che sia sufficientemente robusto e regga in caso di alluvione, vento forte, terremoto ecc, io concordo sulla sua costruzione. Se mi dicono che è bellissima l’idea di costruire un ponte, omettendo un sacco di informazioni, io posso pure cascarci, ma qualora dovesse cascare pure il ponte mi arrabbierei parecchio. Specie se nel disastro morisse un mio familiare.

Ecco, il signor Papi ci spiega chiaramente che lui e gli altri abitanti del Trentino, compreso il suo povero figlio, non hanno ricevuto informazioni e formazione sufficiente per affrontare in modo consapevole la convivenza con un animale grande e grosso, potenzialmente molto più pericoloso di uno scoiattolo, ma trattato come fosse tale.

Dovremmo riflettere e imparare dalle parole di Carlo Papi, anche noi professionisti del campo ambientale.

La statistica “un tanto al chilo”

aprile 17, 2023

I dati gestiti in modo assolutamente non oggettivo portano a una visione distorta della realtà

Lo scopo della statistica descrittiva è nel suo nome: descrivere i fenomeni. Ad esempio potremmo contare il numero di alberi di ciliegio che abbiano almeno 20 fiori sbocciati ogni giorno e otterremo una tabellina che descrive la stagione di fioritura dell’anno in corso. Se andate sul sito web dell’ARPA FVG potreste fare un bell’esperimento con i dati di monitoraggio dei pollini, utilissimo per chi soffre di allergie (e fra essi mi annovero, ahimè).

Spesso i fenomeni vengono descritti da chi non usa la statistica, o meglio non usa la statistica che utilizziamo noi professionisti del campo scientifico. È piuttosto comune sentire dire che “quest’anno c’è più Xxx” con sicurezza, da chi è uscito di casa una sola volta e per caso ha visto più Xxx dell’anno precedente. Questo tipo di statistica non serve a niente, non ci aiuta a fare scelte, perché non descrive la realtà.

Attenzione: non è irrilevante l’opinione espressa da chi fa statistica un po’ come viene, perché l’opinione pubblica è importantissima, dato che influenza le scelte della maggior parte delle persone e, per forza, quelle di chi amministra o governa. Quindi sarebbe molto stupido ignorare le affermazioni prive di validità statistica solo perché sarebbero da cestinare in ambito scientifico.

In questi giorni molte persone usano statistiche più o meno farlocche per discutere riguardo al rischio derivante dalla presenza di orsi, in conseguenza della morte di un giovane in Trentino, ucciso da un orso. Si dividono diversi partiti, ma chi sta dalla parte dell’orso, o contro di esso, a volte usa statistiche buttate lì a casaccio, che possono magari convincere chi non è abituato ad elaborare dati, ma non incantano noi professionisti del campo.

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