I dati gestiti in modo assolutamente non oggettivo portano a una visione distorta della realtà
Lo scopo della statistica descrittiva è nel suo nome: descrivere i fenomeni. Ad esempio potremmo contare il numero di alberi di ciliegio che abbiano almeno 20 fiori sbocciati ogni giorno e otterremo una tabellina che descrive la stagione di fioritura dell’anno in corso. Se andate sul sito web dell’ARPA FVG potreste fare un bell’esperimento con i dati di monitoraggio dei pollini, utilissimo per chi soffre di allergie (e fra essi mi annovero, ahimè).
Spesso i fenomeni vengono descritti da chi non usa la statistica, o meglio non usa la statistica che utilizziamo noi professionisti del campo scientifico. È piuttosto comune sentire dire che “quest’anno c’è più Xxx” con sicurezza, da chi è uscito di casa una sola volta e per caso ha visto più Xxx dell’anno precedente. Questo tipo di statistica non serve a niente, non ci aiuta a fare scelte, perché non descrive la realtà.
Attenzione: non è irrilevante l’opinione espressa da chi fa statistica un po’ come viene, perché l’opinione pubblica è importantissima, dato che influenza le scelte della maggior parte delle persone e, per forza, quelle di chi amministra o governa. Quindi sarebbe molto stupido ignorare le affermazioni prive di validità statistica solo perché sarebbero da cestinare in ambito scientifico.
In questi giorni molte persone usano statistiche più o meno farlocche per discutere riguardo al rischio derivante dalla presenza di orsi, in conseguenza della morte di un giovane in Trentino, ucciso da un orso. Si dividono diversi partiti, ma chi sta dalla parte dell’orso, o contro di esso, a volte usa statistiche buttate lì a casaccio, che possono magari convincere chi non è abituato ad elaborare dati, ma non incantano noi professionisti del campo.
Il pungitopo in questa stagione mostra sia i suoi caratteristico frutti rossi che i minuscoli fiori, nascosti sotto quelle che vengono comunemente chiamate “le foglie”, ma che foglie non sono.
Quelle lamine verdi, abbastanza rigide, con la punta dura e acuminata che determina il nome della pianta, non sono foglie ma bensì fillocladi, ovvero degli strani rametti appiattiti, verdi perché dotati di cloroplasti come delle vere foglie.
Data: 22/03/2023 Area: Prealpi Giulie – Regione: Friuli Venezia Giulia – Provincia: Udine Comune: Nimis – Località: val Cornappo presso grotta Pre Oreak Posizione: 46°14’25.2″N 13°17’31.8″E – mappa Quota: 284 m slm
Non lo sappiamo, ma possiamo dare un’occhiata a quello che è successo finora
Per motivi legati al mio lavoro mi sono trovato a studiare la serie storica di dati pluviometrici della stazione meteorologica di Fagagna (UD) messi a disposizione sul sito MeteoFVG – ARPA FVG (vedi qui). Ho scaricato i dati relativi alle piogge cumulate decadali, ovvero su periodo di 10 giorni. Questo mi ha permesso di suddividere le precipitazioni nelle stagioni astronomiche e fare iniziare ogni periodo di analisi con un equinozio autunnale e terminare con quello dell’anno successivo. Perché non ho usato l’anno solare? Perché nella mia esperienza in Friuli i periodi meno piovosi sono quello invernale e quello estivo, ma la fine del ciclo per ciò che mi interessa (organismi acquatici) coincide in genere con la fine dell’estate. Questo vale anche per organismi terrestri come quelli che coltiviamo: mais, soia, viti, girasoli, colza ecc.
Precipitazioni cumulate stagionali alla stazione di Fagagna (UD). Elaborazione da dati ARPA FVG. L’inverno 2023 è segnato in quanto manca un mese alla sua conclusione al momento dell’elaborazione.
I dati mostrano ciò che abbiamo già capito: il ciclo autunno 2021 – estate 2022 è stato particolarmente secco. In quel periodo a Fagagna sono caduti in totale 920 mm di pioggia, mentre la media dei cicli precedenti è pari a 1622 mm.
Cosa possiamo dire del ciclo appena iniziato? Innanzitutto che le precipitazioni autunnali a Fagagna sono state pari a 408 mm a fronte di una media dei cicli precedenti (escluso quello super secco) pari a 461 mm; quindi siamo sotto media, ma non come nel ciclo precedente, quando erano caduti 371 mm. Per quanto riguarda l’inverno finora possiamo dire che siamo arrivati a 112 mm, ovvero abbiamo già superato l’inverno secco del ciclo ’21-’22. Nei cicli precedenti rispetto a quello secco la media invernale era pari a 367 mm quindi sarà difficile ormai raggiungere il valore medio di precipitazioni invernali. Consideriamo finora abbiamo visto 6 decadi dopo il solstizio d’inverno e ce ne mancano ancora 3 per l’equinozio di primavera. Com’era andata nei cicli precedenti durante queste prime 6 decadi dell’inverno?
Precipitazioni cumulate nelle prime sei decadi dell’inverno a Fagagna. Elaborazione da dati ARPA FVG.
Esaminando questo dato un po’ di ottimismo potrebbe prenderci, perché in fondo finora non siamo andati male come nel ciclo scorso e nemmeno come in quello ’11-’12 che vide un inverno decisamente secco per questa zona dell’Alta pianura friulana (75 mm in tutto l’inverno, 68 mm nelle prime sei decadi). In quel ciclo anche l’autunno era stato povero di precipitazioni, pensate che allora caddero solo 282 mm di pioggia, mentre nell’autunno appena passato sono caduti 408 mm.
Tutto bene quindi? Mica tanto. Innanzitutto non ho ancora elaborato i dati piezometrici che raccontano come stanno le falde della pianura. In secondo luogo ispeziono continuamente i fiumi e le sorgenti, posso dire che “a occhio” gli apporti da sorgente sono molto bassi e stiamo partendo molto male. Inoltre l’innevamento non è buono e se non ci sarà una primavera molto piovosa, nell’estate 2023 saranno grossi guai, per fiumi fortemente modificati, rettificati e pieni di opere, trasformati in modo da fare scorre via rapidamente l’acqua in piena, ma anche in morbida e magra. In sostanza, abbiamo preparato una situazione che è la peggiore per affrontare le carenze di precipitazioni e continuare ad avere acqua. Ora si parla molto di invasi e microinvasi. Io parlo di quelli ma anche di modificare l’uso dell’acqua, perché restare ancorati al “resistiamo sulle posizioni del passato” è un errore che in natura non viene perdonato. E noi, cari umani, siamo pur sempre un ingranaggio di un meccanismo complesso e naturale.
1. Venere di Willerdorf (Naturhistorisches Museum, Wien); 2. Venere Callipigia (Museo Archologico Nazionale, Napoli); La nascita di Venere, S. botticelli (Galleria degli Uffizi, Firenze) [immagini copiate da Wikipedia]
La signora sulla sinistra rappresenta il massimo concetto di femminilità come riteniamo venisse inteso in Europa fra 30.000 e 25.000 anni fa. Al centro la rappresentazione della bellezza femminile come veniva concepita fra 2200 e 2100 anni fa, a sinistra invece quella di 600 anni fa. Qui di lato vediamo la rappresentazione ritenuta di una divinità femminile, rinvenuta nella località anatolica di Çatalhöyük e risalente a circa 6000 anni fa (conservata al Anadolu Medeniyetleri Müzesi).
Oggi va molto di moda parlare di body shaming, ovvero dell’insieme di prese in giro, insulti, abusi psicologici di cui sono fatte segno le persone che hanno una morfologia difforme da quella ritenuta al momento “canonica”. Personalmente non trovo che questa sia una novità, dato che da ragazzino obeso sono stato definito più volte “ciccione di m…”.
La cosa interessante è notare che le due tizie sulla sinistra, che costituiscono in un certo senso tappe della formazione del canone europeo attuale, sarebbero state considerate delle magroline senza fisico per almeno 20.000 anni. Qualcuno considera questa una prova della cultura matriarcale preistorica, mentre il cambiamento dei canoni estetici avrebbe seguito la transizione a una società patriarcale.
La tesi in effetti non è molto ben sostenuta, dato che in molte aree del mondo le culture contemporanee alla nostra, nettamente patriarcali e fortemente sessiste, continuano a identificare la bellezza con un modello fisico di donna “in carne”.
Se ce ne fosse bisogno, credo piuttosto che tutti questi dati confermino una tesi: la bellezza non esiste. Non in assoluto. Quello che l’attuale movimento contro la discriminazione di chi non rientra nel canone (particolarmente concentrato sulla questione dei depositi di grasso corporeo) non considera è un dato che come ex obeso e biologo ho bene in mente: bello o brutto, un eccesso di grasso corporeo nuoce alla salute. Le gambe, la schiena, il cuore e il fegato ringraziano quando perdi peso, anche se non diventi per incanto bello come un attore.
Come ottenere dati sui pesci che vivono in un fiume
Un po’ di tempo fa scrissi un articolo introduttivo sull’elettropesca, promettendo di approfondire l’argomento. Sono passati alcuni anni, ma meglio tardi che mai; inoltre più lavoro di fiumi, più imparo, quindi oggi posso raccontarvi qualcosa di più rispetto al 2017.
Abbiamo già capito quali siano i principi fisici che stanno alla base della capacità di catturare i pesci usando un generatore in corrente continua. Ora vediamo cosa si fa in pratica. L’argomento è difficile e non sono certo di potere riassumere 25 anni di esperienza, ma ci provo.
Innanzitutto dobbiamo avere chiaro il concetto di campionamento. Nella scienza un campione è un sottoinsieme, una piccola parte rappresentativa di qualcosa di molto più grande che desideriamo studiare. Siamo consapevoli del fatto che non possiamo catturare tutti i pesci presenti in un tratto di corso d’acqua, quindi dobbiamo accontentarci di esaminare un campione. Il campionamento è ciò che ci permette di acquisire il campione da osservare, su cui eseguire delle misure. Considerate che quindi, campionando i pesci, stiamo acquisendo un campione limitato, in una parte limitata del corso d’acqua. Scegliere bene la porzione di quest’ultimo dove campionare è molto importante, ma ne parlerò in un altro articolo (non fa 5 anni, prometto!).
Cosa vogliamo sapere? Rispondere a questa domanda è essenziale per decidere come campionare e cosa misurare.
Iniziamo con qualcosa di facile: ipotizziamo di volere sapere quali specie siano presenti in un certo tratto. Il campionamento sarà qualitativo. Non vogliamo sapere quanti pesci ci sono, ci basta catturare più specie possibile, aspirando a prenderle tutte! Nelle acque interne continentali italiane è un’aspirazione legittima, dato che le specie non sono mai numerosissime, a differenza di quanto accade in alcune zone tropicali.