Posts Tagged ‘Friuli’

Il 2023 sarà siccitoso?

febbraio 23, 2023

Non lo sappiamo, ma possiamo dare un’occhiata a quello che è successo finora

Per motivi legati al mio lavoro mi sono trovato a studiare la serie storica di dati pluviometrici della stazione meteorologica di Fagagna (UD) messi a disposizione sul sito MeteoFVG – ARPA FVG (vedi qui). Ho scaricato i dati relativi alle piogge cumulate decadali, ovvero su periodo di 10 giorni. Questo mi ha permesso di suddividere le precipitazioni nelle stagioni astronomiche e fare iniziare ogni periodo di analisi con un equinozio autunnale e terminare con quello dell’anno successivo. Perché non ho usato l’anno solare? Perché nella mia esperienza in Friuli i periodi meno piovosi sono quello invernale e quello estivo, ma la fine del ciclo per ciò che mi interessa (organismi acquatici) coincide in genere con la fine dell’estate. Questo vale anche per organismi terrestri come quelli che coltiviamo: mais, soia, viti, girasoli, colza ecc.

Precipitazioni cumulate stagionali alla stazione di Fagagna (UD). Elaborazione da dati ARPA FVG. L’inverno 2023 è segnato in quanto manca un mese alla sua conclusione al momento dell’elaborazione.

I dati mostrano ciò che abbiamo già capito: il ciclo autunno 2021 – estate 2022 è stato particolarmente secco. In quel periodo a Fagagna sono caduti in totale 920 mm di pioggia, mentre la media dei cicli precedenti è pari a 1622 mm.

Cosa possiamo dire del ciclo appena iniziato? Innanzitutto che le precipitazioni autunnali a Fagagna sono state pari a 408 mm a fronte di una media dei cicli precedenti (escluso quello super secco) pari a 461 mm; quindi siamo sotto media, ma non come nel ciclo precedente, quando erano caduti 371 mm. Per quanto riguarda l’inverno finora possiamo dire che siamo arrivati a 112 mm, ovvero abbiamo già superato l’inverno secco del ciclo ’21-’22. Nei cicli precedenti rispetto a quello secco la media invernale era pari a 367 mm quindi sarà difficile ormai raggiungere il valore medio di precipitazioni invernali. Consideriamo finora abbiamo visto 6 decadi dopo il solstizio d’inverno e ce ne mancano ancora 3 per l’equinozio di primavera. Com’era andata nei cicli precedenti durante queste prime 6 decadi dell’inverno?

Precipitazioni cumulate nelle prime sei decadi dell’inverno a Fagagna. Elaborazione da dati ARPA FVG.

Esaminando questo dato un po’ di ottimismo potrebbe prenderci, perché in fondo finora non siamo andati male come nel ciclo scorso e nemmeno come in quello ’11-’12 che vide un inverno decisamente secco per questa zona dell’Alta pianura friulana (75 mm in tutto l’inverno, 68 mm nelle prime sei decadi). In quel ciclo anche l’autunno era stato povero di precipitazioni, pensate che allora caddero solo 282 mm di pioggia, mentre nell’autunno appena passato sono caduti 408 mm.

Tutto bene quindi? Mica tanto. Innanzitutto non ho ancora elaborato i dati piezometrici che raccontano come stanno le falde della pianura. In secondo luogo ispeziono continuamente i fiumi e le sorgenti, posso dire che “a occhio” gli apporti da sorgente sono molto bassi e stiamo partendo molto male. Inoltre l’innevamento non è buono e se non ci sarà una primavera molto piovosa, nell’estate 2023 saranno grossi guai, per fiumi fortemente modificati, rettificati e pieni di opere, trasformati in modo da fare scorre via rapidamente l’acqua in piena, ma anche in morbida e magra. In sostanza, abbiamo preparato una situazione che è la peggiore per affrontare le carenze di precipitazioni e continuare ad avere acqua. Ora si parla molto di invasi e microinvasi. Io parlo di quelli ma anche di modificare l’uso dell’acqua, perché restare ancorati al “resistiamo sulle posizioni del passato” è un errore che in natura non viene perdonato. E noi, cari umani, siamo pur sempre un ingranaggio di un meccanismo complesso e naturale.

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Di Tagliamento, di macroinvertebrati e di fiumi vivi

gennaio 19, 2023

Una chiacchierata dell’idrobiologo chiacchierone

Sono stato coinvolto nella realizzazione di un podcast, realizzato da Legambiente FVG, nell’ambito di una serie che riguarda il fiume Tagliamento. Di questo fiume ho scritto diverse volte, ma in questo caso potete ascoltare cosa ho raccontato durante una intervista – chiacchierata con Elisa Baioni. Non potete ascoltare il dopo intervista che è stata un’interessantissima chiacchierata su scienza, divulgazione, epistemologia e percezione umana del “mondo”. Chi mi conosce sa cosa succede quando qualcuno mi accende. Poi tocca trovare il tasto “arresto di emergenza”.

Iniziata la stagione della frega dei Salmonidae

novembre 30, 2022

Love is in the water. Anche se parlare di sentimento è un’umanizzazione inaccettabile per un biologo, il dato è che alla fine di questa annata siccitosa e calda Salmo marmoratus è in riproduzione. Non era scontato: nel 2003 rilevai una diminuzione drammatica nel numero di coppie attive.

Coppia di Salmo marmoratus in attività, sembra abbiamo scelto il punto dove deporre

Quest’anno non ho possibilità di fare una buona stima quantitativa, ma mi sembra di vdere più scavi di prova rispetto al passato;  probabilmente perché l’assenza di piene ha favorito una maggiore presenza di sedimento fini, intasamento gli spazi interstiziali fra i ciottoli.

Le trote hanno bisogno di garantire un adeguato flusso di acqua attraverso il nido, condizione necessaria per la sopravvivenza degli embrioni. Quello che a noi umani pare essere un substrato idoneo, viene spesso scartato dalle trote marmorate.

Quasi sempre questi scavi di prova vengono scambiati dagli inesperti per veri nodi di frega, portando a sovrastimare di molto l’effettivo numero di coppie attive. In passato misi a punto un metodo di monitoraggio dell’attività riproduttiva dei Salmonidae e tenni un ciclo di lezioni per formare osservatori, purtroppo senza esito, perché molto credono che gestire la fauna ittica sia “seminare”. La conoscenza della distribuzione e intensità della deposizione delle uova, così come il censimento ittico, sono invece essenziali per stabilire se sia necessario intervenire in modo attivo, come e dove farlo.

Una nuova realtà

luglio 23, 2022
Un tratto del Cjarò di Cialla, 22 luglio 2022

Quello che vedete è un esempio dello stato in cui si trova il torrente Cjarò di Cialla. Seguo questo piccolo corso d’acqua collinare del Friuli dai primi anni 2000, dopo avere scoperto che conservava una comunità di pesci “da manuale”. Gobione, lasca, cobite comune, alborella, cavedano, barbo italico. C’era anche Austropotamobius pallipes. Tutto quello che dovrebbe esserci in un corso d’acqua di questo tipo, c’era. Tant’è che iniziai da subito a proporre delle forme di tutela: in nessun altro torrente avevo trovato una comunità così. Un vero sito di riferimento.

Ora non so cosa succederà. È certo che poche pozze isolate, con acqua molto calda e piene di meteosat organico in decomposizione, non possano permettere la sopravvivenza di molti pesci e invertebrati. È possibile che fra i pesci sopravvivono gli avannotti dei Cyprinidae, ma non mi faccio molte illusioni riguardo agli adulti.

In Friuli Venezia Giulia è usanza recuperare i pesci in caso di asciutte, per “metterli in salvo”, ma l’estate 2022 è talmente siccitosa da rendere impossibile trovare un posto dove trasferire i pesci recuperato senza generare un sovraffollamento pericoloso. I fiumi e torrenti sono ridotti molto male. Per la prima volta in vita mia ho visto il Natisone privo di continuità a Orsaria. Dove un tempo andavo a pescare barbi in mezzo metro d’acqua veloce, c’era una distesa asciutta di ciottoli, fra due buche piene di acqua calda.

Nessuno di questi corsi d’acqua è derivato. Non c’è una presa da chiudere. Non c’è errore umano locale. È semplicemente la somma degli effetti di un cambiamento climatico e della riduzione della capacità di ritenzione dei bacini. Questi in effetti sono fenomeni cui l’umanità contribuisce in modo significativo.

E adesso? Dovremo scoprire che effetti ha avuto questa estate. Verificare le comunità di organismi che vivono in siti dove abbiamo acquisito dati negli anni scorsi. Capire cosa è successo, senza farci deviare dalle emozioni. Per me vedere asciutto quel torrente, dove speravo di conservare specie rare, è stato dove si dispiacere. Ma sono uno scienziato, devo osservare, capire, poi consigliare cosa fare a chi ha il compito di gestire il territorio. Non so cosa rimanga del tesoro che avevo scoperto. Ma se qualcosa è rimasto, ora vale dieci volte tanto. Dovremmo capire se quelle comunità sono in grado di superare non un’estate, ma una serie di estratti così, intervallate da anni più piovosi, perché questo è lo scenario che ci aspettiamo: maggiore frequenza degli eventi sfavorevoli.

La mediterraneizzazione dei corsi d’acqua friulani è molto avanzata. So vedendo cose che mi ricordano Calabria e Sardegna. Se l’ambiente cambia, cambierà la vita. È ciò che studia l’Ecologia. Sono addolorato, ma molto curioso.

Il colle di Udine monumento protostorico

aprile 7, 2022

La grande notizia rilanciata da un articolo comparso sul sito web de Corriere della Sera (leggi qui).

Quando ero bambino mio padre mi raccontò che, osservando uno scavo nel colle, suo padre aveva rilevato come fosse diverso da una collina naturale. Da allora avevo favoleggiato pensando che il colle del castello di Udine fosse in realtà un grandioso tumulo dell’età del Bronzo, costruito cavando terra e lasciando l’avvallamento che oggi è Piazza I Maggio. Immaginavo che quel tumulo fosse stato eretto per volontà di chi regnava al tempo sui centri abitati fortificati del Friuli, quelli che chiamiamo cjastilîrs.

Non so perché, ma mi ero fissato con l’idea che la struttura avesse scopo sacro e astronomico, ma contenesse anche la sepoltura di un personaggio di nome Uthen. Chiaramente questa era fantasia pura e nella mia fantasia era una “regina”.

I libri di storiografia italiani ci insegnavano che prima dei romani in Friuli c’erano quattro pastori disgraziati. Io non ero convinto. Semplicemente mi sembrava logico immaginare che, in mancanza di pietra, avessero costruito con terra e pali di legno. Quindi trovavamo l’aggere di un cjastilîr, trovavamo dei tumuli, ma non torri, case o altre strutture. Il colle di Udine a questo punto è una di queste strutture, ma grande, veramente grande. Pensate a quanta gente deve averci lavorato, quindi quanto importante doveva essere quel luogo e chi aveva deciso di erigere il monumento.

Beh, a quanto pare mio nonno e mio padre avevano visto giusto e le mie fantasie in parte ricalcano una realtà scientificamente dimostrabile. Ora resta da trovare se esista una cella funeraria da qualche parte, altrimenti il resto della (proto)storia rimarrà nella mia fantasia, il che comunque basta e avanza.

Fatto curioso: Antonio Taramelli, nato a Udine, finì a studiare i nuraghi sardi, ma non si avvide mai del fatto di avere avuto davanti al naso qualcosa di enormemente più grande. Un mucchio di terra, certo, ma grande!