Posts Tagged ‘Gestione’

Di Tagliamento, di macroinvertebrati e di fiumi vivi

gennaio 19, 2023

Una chiacchierata dell’idrobiologo chiacchierone

Sono stato coinvolto nella realizzazione di un podcast, realizzato da Legambiente FVG, nell’ambito di una serie che riguarda il fiume Tagliamento. Di questo fiume ho scritto diverse volte, ma in questo caso potete ascoltare cosa ho raccontato durante una intervista – chiacchierata con Elisa Baioni. Non potete ascoltare il dopo intervista che è stata un’interessantissima chiacchierata su scienza, divulgazione, epistemologia e percezione umana del “mondo”. Chi mi conosce sa cosa succede quando qualcuno mi accende. Poi tocca trovare il tasto “arresto di emergenza”.

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Turismo alpino senza sci

gennaio 12, 2023

Iniziamo a pensarci sul serio

Sono certo che qualcuno stia gongolando mentre guarda l’immagine che posto, prelevata dal portale dell’Osservatorio Meteorologico Regionale dell’ARPA FVG. È la parte terminale (di valle) delle piste presso Forni di Sopra (UD), una delle località turistiche regionali attrezzate per lo sci alpino. Oggi è il 12 gennaio e quello che vedete non ha paragone con quanto eravamo abituati a osservare negli anni della mia infanzia e adolescenza. Per capirci, parlo di ricordi 1976 – 1990.

Io non gongolo affatto. Questa immagine mi rattrista molto.

È pur vero che questa immagine rappresenta una conferma di tesi che sostengo anche io da anni, ovvero che le condizioni per praticare lo sci alpino al di sotto dei 1500 m di quota diventeranno sempre più rare in futuro. Questa tesi l’ho sentita formulare a meteorologi, climatologi e nivologi circa 20 anni fa, a conclusione di un’analisi di dati e tenendo conto dei risultati più ottimisti dei modelli climatici disponibili. Non erano previsioni di estemporanei “esperti” da bar o di bastiancontrari di professione, ma di studiosi e tecnici preparati. Mi convinsero e iniziai da allora a pensare, per quanto attiene alla mia professione di consulente ambientale, come elaborare una strategia di gestione degli ambienti di acque interne continentali in Friuli Venezia Giulia.

Altrettanto avrebbero dovuto fare altri soggetti, pensando sia ai corpi idrici che all’agricoltura, alla produzione di energia, al turismo. Sono certo, per esperienza diretta, che molti hanno ragionato a lungo su queste previsioni. Ma coloro che lo hanno fatto e ne hanno parlato sono per lo più ai “livelli bassi” nella gerarchia tecnica, amministrativa e politica. Ai “piani alti” si è continuato a operare come niente stesse accadendo, come se le siccità estive fossero un fenomeno raro, gli inverni senza neve a bassa quota un’eccezione e via dicendo.

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Ricominciare

agosto 20, 2022

La siccità 2022 ha colpito duramente il bacino dell’Isonzo e non basterà il ritorno dell’acqua per avere fiumi e torrenti “come prima”

Il fiume Natisone a Premariacco, 31 luglio 2022

Un inverno 2021 / 2022 povero di neve, con temperatura miti, scarse precipitazioni in generale sia sulla montagna che in pianura, ha posto le basi per una siccità spinta. Avevamo già vissuto annate di siccità e calde, ma l’estate 2022 verrà ricordata come quella in cui, per la prima volta, alcuni fiumi perenni si sono asciugati. Fra questi il Natisone nel tratto di pianura, a valle di Cividale del Friuli. Un fiume che conosco molto bene e ho percorso domenica 31 luglio 2022 per vedere coi miei occhi fino a che punto fosse stato colpito l’ecosistema acquatico. La valutazione è semplice, per un lungo tratto le acque superficiali non erano presenti. Particolarmente impressionante è vedere la forra presso Premariacco, dove per anni ho guardato lo scorrere dell’acqua tumultuoso con fondali profondi e pericolosi. Sono entrato nella forra a piedi. La foto che vedete qui sopra è ripresa dall’alveo in un punto dove non mi sono mai avventurato, perché in genere c’è un forte rischio di essere trascinati via dall’acqua e annegare nella forra a valle, dove ci sono molte marmitte e sifoni. Non avevo mai visto il fondo del fiume in questo punto, sebbene lo frequenti da circa 40 anni.

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Gestire i detriti legnosi

agosto 18, 2022

Riprendo il tema della pulizia degli alvei.

La mia proposta è pianificare ed eseguire interventi mirati che riducano i rischi, ben sapendo che non possono essere annullati, senza perdere tutti quei servizi e potenzialità che un corso d’acqua ci mette a disposizione quando ha caratteristiche prossime a quelle naturali.

Detriti legnosi nell’alveo di un torrente alpino di fondovalle

1. rimozione costante di tutti gli accumuli di materiale legnoso in corrispondenza di ponti e opere trasversali capaci di ritenzione. Non può essere un’eccezione, né si può fare ogni quattro – cinque o più anni a seconda della comparsa di finanziamenti una tantum. Questa opera deve essere costante, vanno trovate le risorse finanziarie, personale e mezzi per presidiare ogni opera!

2. riduzione della dimensione dei detriti legnosi negli alvei su lunghi tratti. Se un tronco del diametro di un metro alla base, con parte delle radici e una lunghezza oltre i 5 metri crea quasi certamente un problema, non lo fanno segmenti di 1 – 2 metri. La presenza di questo materiale in alveo non avviene con ingresso continuo: i grandi elementi legnosi entrano durante le piene maggiori e vengono poi trasportati anche da eventi più piccoli. Le piene che portano tronchi in alveo sono poche, una all’anno o anche meno. Fra una e l’altra c’è tempo per agire e fare a pezzi i tronchi. Per lasciarli lì dove sono! Il valore di quel legname è basso, il costo del suo trasporto fuori alveo non lo è. Se asportare integralmente gli accumuli ai ponti ha un costo sostenibile, anche considerando l’elevato rischio che determinano, non lo ha farlo con migliaia di tronchi distribuiti su centinaia di chilometri. Inoltre, se fossimo particolarmente efficienti nell’asportare legno dai fiumi, ridurremmo in modo notevole l’afflusso di materia organica nell’alto Adriatico, la cui capacità produttiva è in buona parte dovuta agli apporti terrigeni. In pratica, toglieremmo “concime” al mare e creeremmo un danno ecologico ed economico mostruoso per l’industria della pesca marittima, grazie alla quale vivono molte famiglie.

3. prevenire in modo mirato la produzione di grandi detriti legnosi. Da molti anni osservo che la presenza di grandi piante nei pressi delle rive dei piccoli torrenti montani rappresenta un fattore determinante per l’ingresso di detriti legnosi di grandi dimensioni nell’alveo dei grandi torrenti di fondovalle e dei fiumi. Dato che conosco molto bene le conseguenze negative di un taglio raso della vegetazione arborea e arbustiva nelle fasce perifluviali, e lo sono da molti punti di vista, sostengo la necessità di un taglio selettivo, entro una fascia che deve essere individuata localmente, delle piante abbastanza grandi da creare aperture in caso di crollo e trasformarsi in grandi detriti legnosi. Tagliare le piante piccole e gli arbusti non solo non dà vantaggi, ma costa e rischia di favorire processi di erosione, per limitare i quali bisogna spendere ancora di più per costruire difese spondali, la cui durata è quasi sempre breve. Molti operatori obiettano che un taglio selettivo è oneroso perché impedisce di entrare con le macchine. In realtà una gestione di questo tipo porterebbe a un risparmio sul lungo periodo e creerebbe molti posti di lavoro in zone svantaggiate come quelle montane.

Come vedete, non fare nulla sarebbe rischioso, ma fare interventi una tantum giusto per soddisfare l’opinione pubblica non servirebbe a null’altro. C’è la possibilità di intervenire, di farlo in modo costante, razionale e sicuro, senza generare costi su altri comparti. Se ci tenete alla sicurezza e ai nostri fiumi, vi consiglio di chiedere a chi vi rappresenta di andare in questa direzione. Non è difficile, basta rimboccarsi le maniche dopo avere pensato.

Convivere e proteggere

ottobre 19, 2021

Oggi è stato pubblicato sul sito web del Parco Nazionale d’Abruzzo un comunicato che annuncia la morte di un orso marsicano travolto da un mezzo lungo l’autostrada A25. Potete leggere il comunicato sul sito web ufficiale del Parco.

Torno ancora una volta su un argomento che ho già affrontato in passato: la convivenza fra Homo sapiens sapiens e altre specie. Al momento su questo pianeta la specie dotata del cervello capace della maggiore capacità intellettiva a me nota è proprio Homo sapiens sapiens, che si è presuntuosamente attribuito questo nome specifico proprio in riferimento alle capacità che gli vengono conferite da una sviluppata corteccia cerebrale. Escludendo quanto si vede nei film di animazione, riteniamo che gli altri animali non siano in grado di ragionare, agire e comunicare come fa la nostra specie. Il raziocinio e la capacità di scelta delle altre specie animali è decisamente più limitato dei nostri, a quanto ci è dato sapere, quindi ci troviamo di fronte a una situazione piuttosto semplice: noi possiamo scegliere, progettare, pianificare, decidere, agire come società, gli altri animali poco o per nulla.

Dunque l’orso fa l’orso, il delfino fa il delfino e il pesce pagliaccio fa il pesce pagliaccio. L’Uomo fa l’uomo e di questo fa parte la presunzione di potere dominare tutte le altre specie. Lo abbiamo pure scritto in un testo sacro per una quota rilevante della popolazione umana (ricordo che il contenuto della Genesi è considerato valido da tutte tre le religioni monoteiste principali).

Mi capita spesso, per motivi di lavoro, di confrontarmi con umani che ritengono giusto conservare e proteggere ogni altra specie vivente, ma altrettanto spesso (anzi più spesso) incontro persone che ritengono doveroso innanzitutto tutelare gli interessi individuali degli umani e proteggere solo le specie “utili” o per lo meno “belle”, “simpatiche”, “affascinanti”.

Come ecologo, so quanto sia importante conservare tutte le parti di un sistema. La singola specie in sé è un patrimonio prezioso, ma è anche l’ingranaggio di un meccanismo complesso. Non si possono conservare alcune specie e non altre, pretendendo che questo lasci immutato il sistema. Il sistema stesso è presupposto per l’esistenza delle sue parti, che altrimenti potrebbero scomparire. D’altro canto, nonostante i nostri sforzi, non conosciamo ancora abbastanza bene il funzionamento dei sistemi. Si tende a semplificare, come viene spesso fatto da chi gestisce ambiti forestali produttivi, o si occupa di agricoltura, o di caccia e pesca. Lo fanno anche tanti ambientalisti, prendendo granchi clamorosi. Si semplifica perché se dovessimo aspettare di avere compreso le Leggi che regolano i processi in un ecosistema, dovremmo restare fermi. Non conosciamo ancora nemmeno tutti i processi, figurarsi le Leggi che li governano!

Questo tuttavia non è un alibi accettabile, nel momento in cui siamo già in grado di comprendere alcuni fenomeni. Ad esempio, sappiamo che gli orsi si spostano e lo fanno rapidamente e su lunghe distanze. Il loro spazio vitale, l’home range, non è limitato come quello di specie più piccole, semplicemente perché un orso ha bisogno di accedere alle risorse di un grande territorio per potere vivere. Per capirci, un capriolo può tranquillamente vivere in una zona piuttosto piccola, dove ci siano un po’ di prato e boscaglia. Un cervo usa una valle intera, se non più. Un orso chiama “casa” una piccola regione che comprende ben più di una sola vallata. Altri animali vanno addirittura oltre. Le rondini che siamo abituati a vedere vicino alle nostre case costruiscono il nido su queste rupi artificiali create dall’Uomo, ci sembra che vivano lì attorno, come noi, ma in realtà quelle rondini non potrebbero esistere se non compissero migrazioni di migliaia di chilometri, che le porteranno a passare l’inverno in terre dove sono disponibili le risorse alimentari di cui hanno necessità: insetti volanti.

Sappiamo che l’orso vaga e sappiamo che le nostre strade, autostrade, ferrovie, canali artificiali tagliano il territorio. E’ quasi inevitabile che un orso debba attraversare una strada, dato che queste sono dovunque. Nella maggior parte dei casi attraverserà piste forestali, o strade della viabilità secondaria montana, poco trafficate e strette, spesso talmente tortuose che le auto non possono percorrerle a velocità elevata, ma l’orso marcia per decine di chilometri e prima o poi finirà per volere attraversa l’autostrada, dove i mezzi viaggiano velocemente. L’orso non ha le idee chiare riguardo al moto dei veicoli, non ha mai avuto bisogno, nella storia della sua specie, di evolvere meccanismi di valutazione della distanza e velocità di un camion su una spianata di conglomerato bituminoso. E’ un’esigenza che è nata pochissimo tempo fa e il problema non risulta ancora pienamente risolto da noi umani. Basta provare a passare con l’auto nei pressi di una scuola, all’orario di fine delle lezioni, per vedere decine di giovani Homo sapiens sapiens attraversare una strada senza valutare il rischio di essere travolti da un’auto.

Dobbiamo quindi guardarci nelle palle degli occhi e farci delle domande: vogliamo continuare a condividere con l’orso marsicano e altri animali questo pianeta? So che molti risponderanno di si, ma moltissimi altri pensano che la decisione giusta sarebbe non farlo. Una volta assunta una decisione, è bene fare in modo che questa si trasformi in azione. Se vogliamo conservare l’orso, dobbiamo impedirgli di attraversare l’autostrada e creare dei passaggi sicuri.

Una questione gravissima è che molti rimandano a una futura pianificazione, richiamano la necessità di norme che giustifichino certe misure e gli oneri che ne derivano, si trincerano dietro al sacrosanto principio di controllo della spesa, anche in nome di una pianificazione chiara e di lungo respiro. Il punto è che queste cose me le sento dire da quando sono andato all’Università, ovvero da 30 anni, e oggi mi sembrano sempre più delle scuse per non trasformare le decisioni in atti concreti. Vogliamo continuare a prenderci in giro?