Ho letto le dichiarazioni di Carlo Papi, padre di Andrea, ucciso dall’orsa Jj4 in Trentino mentre correva nei boschi.
Ciò che ha detto Papi, pur in un momento di dolore che fatico persino ad immaginare (perdere un figlio!), è molto vero, misurato e intelligente. Riporto dall’articolo pubblicato su Open Online:
Perché secondo lui la morte di Andrea «si poteva evitare. Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi: cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco. Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio».
Qui c’è ciò che dovremmo incorniciare e diffondere fra tutti i cittadini. Non esiste uno steccato che separa l’ambito umano da quello della “natura”. I boschi non sono uno zoo, i paesi e le città non sono isole. Gli umani fanno parte degli ecosistemi esattamente come gli orsi, gli scoiattoli, i coleotteri. Solo che gli umani sono molto bravi a modificare gli ecosistemi in brevissimo tempo. Non che gli altri organismi siano incapaci di farlo, ma gli umani sono veloci e possono decidere. Possono decidere! È il famoso intelletto di cui ci vantiamo tanto.
Quando ero giovane e studiavo biologia all’Università, una parte dei miei insegnanti era di quella che definisco oggi la “vecchia scuola”, con in mente una netta divisione fra ambito umano e ambito naturale ed un approccio riduzionistico all’ecologia. Altri invece avevano un approccio olistico. Badate bene, in Ecologia il termine olistico non ha significato coincidente con quello della stessa parola usata in ambiti non scientifici (più o meno a sproposito). Significa che non si considera un elemento del sistema alla volta, ma si riconosce che ciascuno di essi interagisce con gli altri influenzandone il funzionamento e l’esistenza stessa.
Dunque, per me e per molti altri ecologi, gli umani sono parte del sistema e bisogna tenerne conto. Quindi non basta sapere di avere nel complesso una certa superficie di habitat classificati idonei all’orso, ma anche sapere quale sia la dimensione delle singole particelle di habitat disponibile, quanto siano distanti le une dalle altre, come siano connesse, con quali altri particelle confinino, come e quanto gli umani usino quelle aree, quali altre specie o caratteristiche morfologiche e geologiche abbia l’area da grande a piccola scala.
Voi mi direte che sicuramente chi ha elaborato il piano per la reintroduzione degli orsi in Trentino ha tenuto conto di tutte queste cose. Non l’ho letto, ma suppongo che sia così.
Cito dal sito web del progetto LIFE Ursus: I risultati sono incoraggianti: circa 1700 km2 risultano essere idonei alla presenza dell’orso e più del 70% degli abitanti si sono detti a favore del rilascio di orsi nell’area.
Il punto però sta in quello che dice Carlo Papi: bisogna preparare gli umani al cambiamento!
Innanzitutto si informano gli umani, in modo chiaro. Nel caso della reintroduzione dell’orso bisogna mettere sul tavolo chiaramente quali sono le possibili interazioni fra quella specie e la nostra. È fondamentale. Alcuni miei colleghi, impegnati nella conservazione della biodiversità, credono che questo non sia importante, perché abbiamo una sacra missione: tutelare o ripristinare la biodiversità. La sacra missione prevede, in questo approccio, di fregarsene di cosa pensino i brutti, ignoranti e pidocchiosi umani. L’approccio è totalmente sbagliato, lo dirò a sfinimento. Noi scienziati non siamo divinità, siamo quelli che hanno il compito di comprendere il funzionamento dell’Universo e spiegarlo a tutti gli altri. Spiegarlo a tutti gli altri.
Prima di reintrodurre qualunque specie ci sono una serie di passaggi necessari, ciascuno di essi deve essere propedeutico al successivo, con un meccanismo di controllo: se non si supera un passaggio, non si va avanti. È naturale e logico. Dunque si parte valutando se le caratteristiche morfologiche, geografiche, ecologiche di un certo territorio siano adeguate per pensare a una reintroduzione, quindi si valutano i motivi della scomparsa di una specie e ci si chiede: le cause sono state rimosse? Se si, si procede, se no bisogna operare innanzitutto per rimuovere le cause della scomparsa. Esiste un modo per rimuovere le cause della scomparsa? Se si, si prosegue nella progettazione, se no ci si ferma. È economicamente e socialmente fattibile la rimozione delle cause di scomparsa della specie? Se si, si progetta tenendone conto, se no ci si ferma. Questa è la Via.
Uno di questi passaggi è fare accettare in modo consapevole la specie agli umani. Perché le azioni che non siano comprese, accettate e sostenute dalla comunità che vive in una certa area, o da coloro che la frequentano temporaneamente, non possono avere successo. Il trucchetto di non spiegare per bene le cose, per paura che “la gente” si opponga o si metta di traverso, è controproducente. È necessario avere l’appoggio della gente. Il fatto che questa gente non abbia tutte le conoscenze necessarie non è ostativo, è compito nostro fornirle in modo semplice e chiaro. Io non so nulla di cardiochirurgia, ma se mi spiegassero che ho la valvola mitralica fatta male e l’unico modo per salvarmi la vita è operare e sostituirla, pur continuando a non capire nulla di cardiochirurgia, sarei ben felice di dare il mio consenso all’operazione. Non so nemmeno nulla di ingegneria civile, ma se mi dicono che bisogna spendere 10 milioni per costruire un ponte in modo che sia sufficientemente robusto e regga in caso di alluvione, vento forte, terremoto ecc, io concordo sulla sua costruzione. Se mi dicono che è bellissima l’idea di costruire un ponte, omettendo un sacco di informazioni, io posso pure cascarci, ma qualora dovesse cascare pure il ponte mi arrabbierei parecchio. Specie se nel disastro morisse un mio familiare.
Ecco, il signor Papi ci spiega chiaramente che lui e gli altri abitanti del Trentino, compreso il suo povero figlio, non hanno ricevuto informazioni e formazione sufficiente per affrontare in modo consapevole la convivenza con un animale grande e grosso, potenzialmente molto più pericoloso di uno scoiattolo, ma trattato come fosse tale.
Dovremmo riflettere e imparare dalle parole di Carlo Papi, anche noi professionisti del campo ambientale.