Le trote coi pallini rossi

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Piacciono a gran parte degli umani più di quelle che non li hanno. Perché?

Si sta combattendo da tempo una grande guerra mondiale per la conservazione della biodiversità e io sono da anni in trincea. Per fortuna non rischio pallottole come mio nonno sul Piave, dove vado solo a prendere freddo facendo rilievi di habitat. Eppure non riesco a prendermela con gli avversari. Forse perché iniziai a pescare molto prima di laurearmi in Scienze Biologiche.

Un esemplare adulto di Salmo trutta catturato durante un censimento ittico in un torrente della Carnia

Inizio a raccontarvi un po’ la storia dalla mia esperienza di pescatore, perché il cammino che si percorre è fatto di passi e non sono certo nato biologo.
All’inizio pescavo solo in mare e laguna, dove non era necessario essere titolari di una licenza. Quando iniziai a pescare in acqua dolce le mie catture erano trote iridee (Oncorhynchs mykiss), di origine americana. A Udine, nei canali irrigui e nei laghetti attorno c’erano quelle. Quando potei allontanarmi, grazie alla patente che mi permetteva di usare la FIAT 126 della mamma, iniziai a catturare quasi esclusivamente trote fario “atlantiche” (Salmo trutta) in torrenti come Cornappo e Chiarò. Lì c’era solo quello. La trota marmorata (Salmo marmoratus) era un mito, che popolava la mia fantasia e il Natisone.

Quando decisi di sfidare il mito, con la decisione e l’entusiasmo di Sanpei, impiegai moltissimo tempo a fare la prima cattura. La gran parte dei pesci che prendevo erano ancora iridee e fario.

La fario mi piaceva molto, tant’è che nel 1998 convinsi (facilmente) il professor Specchi a farmi avviare uno studio sulla sua alimentazione. Confesso che oltre a un interesse per i flussi di energia negli ecosistemi dei torrenti montani, mi muoveva il desiderio di capire come pescarne di più.

Per chi non pesca è utile ricordare questo: la pesca con la lenza consiste nell’offrire ai pesci del cibo o qualcosa che ci assomigli, con nascosto un gancio di acciaio (l’amo), che é legato a un filo di polimeri. Quando il pesce mangia ciò che gli offriamo, l’amo si conficca nei tessuti della bocca o della faringe; questo consente al pescatore di trascinare il pesce fino ad averlo letteralmente in mano.

Lo studio sull’alimentazione della fario venne affiancato da osservazioni sulle preferenze in fatto di habitat e sul comportamento. Poco dopo iniziai a fare la stessa cosa con la marmorata. Così capii.

Se percorro a ritroso il mio viaggio attraverso il mondo della pesca e unisco ai ricordi tutto ciò che ho imparato sugli ambienti acquatici e i pesci, capisco perfettamente perché la trota fario sia tanto amata dai pescatori dilettanti (includo quelli come me e i garisti). E di questo bisogna tenere conto per forza, perché la gestione di qualunque ecosistema, la conservazione degli habitat e delle specie, non possono essere fatte solo per decreto calando dall’alto divieti e obblighi, ma devono avvalersi del contributo di ogni cittadino. Se il cittadino non viene informato, se non si tiene conto dei suoi desideri, se non si propone qualcosa di alternativo in modo accettabile e ragionevole, non si può fare tutela. So che molti strenui difensori dell’ambiente non sono d’accordo con quanto ho appena scritto, ma la mia opinione è frutto di quasi tre decenni di studio e lavoro, posso garantirvi che non è una frase fatta buttata lì per giustificare qualunque uso scriteriato delle risorse naturali.

Le trote fario sono capaci di alimentarsi anche esclusivamente di invertebrati. Non esistono pesci a me noti che disdegnino di predare altri pesci, se capita l’occasione, ma mentre la trota marmorata non riesce a crescere senza mangiare pesci, la trota fario può tranquillamente raggiungere una taglia ragguardevole nutrendosi esclusivamente di invertebrati. Ovviamente per ragguardevole intendo una taglia in relazione alle dimensioni dell’ambiente in cui il pesce vive. Un’altra caratteristica della fario infatti è la capacità di vivere in ambienti ristretti e frammentati. Se una marmorata ha bisogno di grandi buche, di spostarsi per raggiungere i siti riproduttivi, di avere a disposizione abbastanza spazio per attingere a una grossa riserva di prede, la fario si accontenta di poco. Vive tranquillamente in una buca di due metri di diametro, si sposta pochissimo, si accontenta di predare macroinvertebrati. Gli studi condotti dall’Università di Trieste a fine anni ’90 e inizio 2000 hanno confermato che le trote fario nei torrenti montani del Friuli vivono di invertebrati e che catturano quasi solo quelli che vengono trasportati dalla corrente. Consideriamo anche che la trota fario è poco territoriale. Certo in condizioni di carenza di cibo tende ad essere esasperata la competizione intraspecifica, ma se c’è cibo a sufficienza per tutti, scopriremo che individui di diverse taglie convivono serenamente nella stessa buca o a breve distanza gli uni dagli altri nelle rapide. Questo non accade con la trota marmorata, la cui socievolezza scompare con l’età: i giovani si trovano spesso aggregati, ma subadulti e adulti hanno un comportamento spiccatamente territoriale.

Anche quando viene il momento di riprodursi, la trota fario ha una marcia in più. Ho studiato per molti anni le preferenze delle trote in fatto di habitat riproduttivo e ho confermato dati già acquisiti da altri colleghi, che nel caso dei corsi d’acqua del Friuli diventano cruciali. La trota fario depone le uova su un fondo ghiaioso con piccoli ciottoli esattamente come la trota marmorata, ma lo fa anche dove l’area adatta è molto piccola. Un nido di frega di fario può essere grande meno di un metro, compresa fossa e cumulo. Il margine di una buca prima del successivo raschio è sufficiente perché una fario scelga quel sito per la deposizione delle uova. La trota marmorata non fa la stessa scelta. I suoi nidi di frega sono molto più grandi, perché i pesci sono più grandi, ma anche l’area adatta deve essere molto più grande. In modo che definirei non proporzionale. La marmorata pretende di avere una zona ghiaiosa con un diametro di molti metri, in genere oltre i quattro metri. Questo implica che la fario si riproduca tranquillamente nei piccoli rii montani, quelli larghi da 1 a 3 metri, mentre la marmorata ha decisamente bisogno di corsi d’acqua più grandi, di fondovalle. Ma se un grande torrente di fondovalle viene interrotto da decine di briglie, la frammentazione lo fa diventare simile a un torrentello di versante. La marmorata finisce per deporre le uova con difficoltà, in siti molto vicini a quelli dove caccia, ed è una specie in cui il cannibalismo è accertato e frequente. In questo caso la fario riesce a sfruttare molto meglio la disponibilità di habitat e prevale decisamente sulla trota marmorata.

Quello che vi ho scritto dovrebbe avervi già fatto capire perché la trota fario sia amata dai pescatori con la lenza mentre la trota marmorata, pur essendo una preda ambita, sia molto meno popolare. Ma vediamo punto per punto i motivi.

  1. a parità di superficie disponibile, possiamo avere molte più trote fario di taglia superiore a 25 cm di lunghezza totale rispetto al numero di trote marmorate;
  2. la trota fario colonizza una grande varietà di ambienti, fra cui quelli che sono inadatti alla trota marmorata, quindi possiamo trovarla dovunque, dai grandi fiumi fino ai piccoli rii montani;
  3. la trota fario si nutre prevalentemente di invertebrati in deriva, fatto che la rende particolarmente adatta a essere ingannata con esche come un verme che viene fatto scendere in deriva, o un artificiale che per forma e dimensioni ricorda un invertebrato di quelli che sono presenti normalmente nei torrenti montani (mosca secca e ninfa), la fario tuttavia non disdegna di attaccare artificiali come i rotanti e gli individui più grossi attaccano volentieri anche le imitazioni dei pesci, insomma è una specie catturabile con una gran varietà di esche e tecniche;
  4. la trota fario mangia continuamente, tende a predare più invertebrati all’alba e al tramonto, ma mangia anche in pieno giorno, lo fa anche con l’acqua limpida e in battuta di sole, perché ciò di cui si nutre non è poi molto “consistente”, mentre la marmorata preda nelle fasi crepuscolari o con acqua non trasparente, può permettersi di mangiare anche a giorni alterni, dato che le sue prede sono grandi e forniscono molto nutrimento.
Esemplare subadulto di Salmo marmoratus catturato durante un censimento ittico in un affluente del fiume Tagliamento (Friuli)

Molti pescatori a cui ho fornito queste informazioni mi hanno chiesto “ma allora dottore perché ce l’ha tanto su con la fario?”. Io non ce l’ho su con la fario. Se esistesse un modo per avere popolazioni strutturate e numerose di trota fario e contemporaneamente conservare popolazioni strutturate e numerose di trota marmorata, se fosse possibile preservare tanti altri animali che possono soffrire della competizione e predazione da parte della fario, sarei molto felice come pescatore e del tutto soddisfatto come biologo impegnato nella conservazione dell’identità biologica del territorio. L’identità biologica del nostro territorio è una delle cose che mi interessano di più. La trota mamorata è la nostra trota, è un endemismo esclusivo del versante meridionale delle Alpi, la trota fario è stata introdotta dovunque, è alloctona e dunque non “nostra”, non è la trota tradizionale dei nostri fiumi, non è quella che definisce l’identità del nostro territorio. E’ divertente da pescare, molto più facile da catturare rispetto alla marmorata, sicuramente “rende” di più, ma fare estinguere la nostra trota per rimanere con quella atlantica sarebbe decisamente una cosa inaccettabile, non solo dal punto di vista biologico ma anche da quello culturale. La mia scelta, come pescatore, è stata quella di rompermi le scatole per imparare a catturare la marmorata. Ovviamente non disdegno di divertirmi con le fario nel bacino dello Slizza, in Val Cellina, a Sappada o nei torrenti del Cadore, come non disdegno di insidiare la trota iridea dove ci sono popolazioni selvatiche o viene autorizzata la sua immissione a scopo di pesca. Ma se devo pensare a cosa definisce me, la mia gente e la mia terra, per me la marmorata è come il frico e la fario è come l’hamburger. Viodeit voatris ce fa.

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2 Risposte to “Le trote coi pallini rossi”

  1. Valentino Says:

    Quindi se la marmorata sta solo nei fiume di fondovalle….cosa pescheremo nei torrenti nei prossimi anni ,visto che le semine sono praticamente bloccate.

    • Giuseppe-Adriano Moro Says:

      Si possono fare immissioni di altre specie interessanti per la pesca sportiva con modalità moderne e dopo avere ottenuto l’autorizzazione ministeriale.
      Per quanto riguarda me, fra pescare robetta da due etti e conservare la nostra trota locale, storica che definisce la nostra identità, scelgo decisamente la seconda. E poi, quando si è abituati ad avere in canna pesci oltre i 2 kg, il resto è noia.

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