Lo scorso 6 agosto ho sceso, con la mia canoa gonfiabile, il tratto di fiume Isonzo fra il ponte “di Pieris” (SR 14) e l’Isola della Cona. Lo scopo della gita era puramente scientifico, dato che era mia intenzione raccogliere campioni di eDNA per scoprire la presenza di alcune specie ittiche difficilmente osservabili, ma è stata l’occasione per esplorare alcuni tratti di fiume dove non ero mai stato, né a nuoto né a piedi.

La preparazione della canoa e dell’attrezzatura, sotto il ponte “di Pieris”.
Sono partito alle 8 del mattino, per evitare la calura estiva, dalla riva occidentale dell’Isonzo (o riva destra, o friulana). Ho lasciato l’auto all’Isola della Cona e sono stato portato a monte dal mio collega Matteo, che era in zona per altri impegni. L’accesso è molto facile imboccando una strada sterrata che si diparte dalla “statale” (ora regionale) poco prima del ponte (venendo da Fiumicello) ed è molto nota, in particolare fra coloro che vanno a fare il bagno o a prendere il sole sulla grande barra laterale destra a valle del ponte. Un sentiero conduce rapidamente sotto le arcate del ponte stradale fendendo una fitta vegetazione composta quasi esclusivamente da specie alloctone invasive.
Qui ho gonfiato la canoa e preparato tutta l’attrezzatura necessaria alla discesa e al campionamento dell’acqua (filtri, connettori, siringhe, borsa frigo ecc). Ho preferito imbarcarmi nella pozza (acqua immobile) immediatamente a valle della bassa soglia artificiale che protegge il piede dei piloni, dato che non mi fidavo di affrontare la brevissima rapida centrale con un gonfiabile: ci sono alcuni massi e rami incastrati che potrebbero essere letali per il gonfiabile. Con un kayak rigido da torrente mi sarei buttato direttamente in acqua.
Uscire dalla buca è stato piuttosto facile, passando su una soglia ghiaiosa con battente sufficiente. Entrare nella corrente è banale, anche con la mia canoa gonfiabile, che di certo non è agile. Dopo pochi metri mi sono fermato in una morta a sinistra per iniziare a lavorare.
Il tratto con corrente percepibile e minuscole onde termina subito e il filone attivo si addossa alla sponda sinistra, alberata e con qualche albero morto incastrato sul fondo. Tutto facilmente evitabile, dato che la corrente sarà stata compresa fra i 0.15 e i 0.30 m/s.
Nota bene: questo tratto di fiume è alimentato dall’emersione della falda freatica, ma anche fortemente influenzato dall’invaso delle acque alpine alla diga di Solkan (Slovenija) e dalla derivazione di acque a uso irriguo a Gorizia e Gradisca / Sagrado d’Isonzo. Consiglio di tenere d’occhio gli idrometri della Rete Idrometeorologica Regionale del Friuli Venezia Giulia. Quando ho fatto la discesa io il livello dell’idrometro di Pieris misurava 0.48 m sul riferimento idrometrico locale alle ore 08:00, mentre segnava 0.30 m alle 12:00.
Da lì in poi il gioco consiste nel cercare di seguire la corrente del filone principale, altrimenti tocca pagaiare come forsennati e il mio giro (carico) prevedeva circa 8 km in linea d’aria.
Il filone attivo si divide presto in due parti. Quello a sinistra è più stretto e si infila fra un’isola vegetata e la sponda, mentre il ramo destro è ampio e continua a correre in un ampio alveo di morbida ghiaioso. Ho scelto quest’ultimo perché mi sembrava che il ramo sinistro fosse troppo basso. Il problema coi gonfiabili è che, per allungarne la vita, bisogna evitare di grattare il fondo. A destra tutto va bene, c’è sempre abbastanza acqua e la minuscola “rapida” (in termini idromorfologici sarebbe un riffle) si affronta senza ragionare troppo sulla linea da tenere. Dove i due rami si riuniscono termina un’altra micro rapida, un po’ più veloce (siamo attorno ai 0.7 – 0.8 m/s). Il ramo sinistro si comporta come una morta e per entrarci bisogna prendere l’angolo giusto, altrimenti il gonfiabile (ma penso anche un kayak) viene respinto dalla eddy line e si va via verso valle. Ho risalito il ramo sinistro, con fondo sabbioso e acqua bassa. Molto carino, fra gli alberi e pieno di cefali (credo fossero Liza aurata, ma non li ho visti abbastanza da vicino). Che i cefali salgano molto lungo i fiumi è noto, ma non mi aspettavo di trovarli in quel punto. Le sorprese comunque non sono terminate, dal punto di vista ittiologico.
Riuniti i due canali il fiume scorre a sinistra dell’alveo, al piede di un’alta scarpata di erosione. Nella parte superiore della scarpata, nello strato di sabbie fini e compatte lasciato dalle piene del passato, hanno scavato i loro nidi alcune coppie di Merops apiaster (gruccione), che volteggiano emettendo versi caratteristici e allegri. I gruccioni sono animali splendidi, dai colori “tropicali”, e ho sempre un reverenziale timore davanti alle loro “città”. In questo caso sembra che il mio avvicinamento alla deriva non li disturbasse, tant’è che alcuni esemplari hanno cacciato davanti alla prua della canoa. Questo non mi era mai successo quando mi sono trovato a camminare sull’alveo. Evidentemente i gruccioni non considerano una minaccia ciò che nuota.
Dopo la città dei gruccioni la scapata si allontana e la grande curva termina con una breve rapida, quasi degna di questo nome. Arrivando da monte ho notato molti alberi incastrati sul fondo e, dato che l’acqua sembrava essere quasi concentrata in un filone unico, troppo veloce per un gonfiabile qualunque, ho deciso di scendere accostando a sinistra in una morta. Ispezionato il tratto pieno di alberi morti incastrati, ho verificato che la piccola rapida aveva una linea libera al centro e in piena corrente, quindi sarebbe bastato evitare di farsi catturare da un paio di eddys sulla sinistra per filare via lisci.

Breve tratto con scorrimento rapido fra tronchi incastrati in alveo.
In realtà alla fine mi sono buttato apposta dentro un eddy per vedere un po’ cosa ci fosse fra i tronchi. La mia curiosità è stata premiata dalla fuga di un branzino (Dicentrarchus labrax) che ho stimato fra 1.5 e 2 kg di peso. Anche in questo caso è stata una sorpresa, ma relativa, dato che è nota la propensione di questo pesce per la caccia nei fiumi. Probabilmente questo esemplare ha scelto di rimanere nell’Isonzo in un tratto dove la risalita di acque di falda mantiene la temperatura sotto i 20°C, mentre i suoi conspecifici preferiscono evitare il caldo allontanandosi dalle acque basse delle nostre spiagge.
La sequenza di brevi raschi e lunghissime lame (o glide) prosegue fino all’altezza della Macorina, dove la pendenza cambia radicalmente. Poco prima di arrivare all’inizio del tratto più lento si scende una breve rapida e si entra in una gran pozza, dove da destra sbocca un canale laterale molto interessante. Non ho resistito alla tentazione di risalirlo e mi sono infilato fra due cortine di alberi e arbusti in un ambiente bellissimo (per un biologo). L’acqua del canale laterale è limpidissima, di risorgiva, nettamente più fresca di quella del filone attivo principale. Il fondo è sabbioso e coperto da una vegetazione rada. Ho riconosciuto della Callitriche, del Ceratophyllum e qualche Ranunculus, oltre a un po’ di Potamogeton. Di nessuna di queste piante posso dare l’identificazione a livello specifico purtroppo. Il canale laterale è evidentemente un residuo di un canale attivo del passato, ora alimentato dall’emersione della falda e separato dal resto del fiume da una grande barra coperta di vegetazione. In questo tratto abbondano le damigelle della specie Calopteryx virgo e molte altre assolutamente non riconoscibili dalla distanza. A fianco a queste sfrecciano diversi esemplari di Libellula (poteva essere Libellula depressa ma non li ho visti da vicino).
Dalla pozza allo sbocco del canale laterale si affronta un tratto con corrente più sostenuta, a ridosso dei resti di un paio di pennelli che sporgono dalla riva destra. Meglio stare a sinistra, seguire la corrente e non cercare guai contro i massi. Il filone attivo poi piega a sinistra sfiorando gli alberi della riva destra e si avvia a diventare un enorme glide a scorrimento lentissimo (direi sui 0.1 m/s). La corrente si percepisce solo dove alcuni massi, altri resti di pennelli, sfiorano la superficie generando delle minuscole increspature. Per essere chiari, la corrente è talmente debole che non si forma nemmeno un ritorno dietro a questi massi. Qua bisogna pagaiare e cercare di tenersi sul profondo, che è a destra nel primo tratto. Segue un breve raschietto molto ampio e dall’acqua bassissima. Qui ho dovuto rinunciare a rimanere in canoa, sono smontato in mezzo all’acqua (arriva alla caviglia) e ho raggiunto l’acqua un po’ più profonda sotto la riva sinistra, fra gli alberi. Si passa fra i rami senza incontrare problemi e ci si avvia lungo un altro lunghissimo glide. L’ultimo, quasi non percepibile, raschio introduce alla parte terminale del fiume. L’acqua diventa sempre più profonda e torbida, mentre la corrente è ormai impercettibile. Da qui ho pagaiato con forza fino ad arrivare al ponte della strada Monfalcone – Grado. Sotto di me sapevo esserci il cuneo salino, ovvero uno strato di acqua marina che si infila sotto quella dolce fluviale, meno densa.
Al ponte della Monfalcone – Grado ho ispezionato i mucchi di tronchi e rami incagliati sui piloni, nella speranza di avvistare un siluro o uno storione, ma ho trovato solamente cefali. Stranamente dal ponte piove acqua: è una perdita del tubo che attraversa il fiume agganciato al ponte e rifornisce Grado. Poi tutto diventa ampio, caldo e lentissimo. Pagaiando contro vento ho raggiunto il punto terminale della mia gita, lo scivolo in ghiaia che si trova immediatamente a valle dello sfioratore artificiale che separa l’Isonzo dal Canale della Quarantia. Qui ho raggiunto la riva e recuperato l’auto, parcheggiata sulla vicina strada asfaltata che conduce al centro visite dell’Isola della Cona. Sistemata la canoa sono andato proprio lì per farmi due birrette coi colleghi della Stazione Biologica Isola della Cona.
Alcuni consigli pratici.
- ricordatevi che dal 1 gennaio al 1 giugno la navigazione a monte della strada Monfalcone – Grado è interdetta dalle norme che regolano la gestione della Riserva Naturale Regionale Foce del Fiume Isonzo e della ZSC che le si sovrappone.
- date un’occhiata all’idrometro di Pieris, perché se l’acqua fosse più bassa di quando sono sceso io, molti punti diverrebbero non navigabili e sareste costretti a smontare più volte per trascinare il natante; nelle condizioni in cui ho effettuato la discesa io le difficoltà potevano essere al massimo pari a un I Livello in un paio di raschi, per il resto niente turbolenza e tutto nuotabile, con portata e velocità maggiori non ho idea di come cambino le cose;
- per la parte bassa date un’occhiata anche alle tabelle di marea, perché in caso di marea in crescita e vento contrario diventerebbe piuttosto noioso percorrere gli ultimi due chilometri;
- ricordatevi di mettere la crema solare sulle gambe se non usate un kayak!
- un repellente per i tafani è fortemente consigliato;
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