Quasi un muro

Maggio 13, 2024 by

Quando i depositi alluvionali recentissimi stupiscono

Più o meno sappiamo tutti che facendo un mucchio di sabbia, uno di ghiaia e uno di ciottoli, la pendenza dei fianchi non è la stessa per ogni mucchio. Se lasciamo tutto lì dopo un paio di giorni, magari una pioggia, troveremo comunque delle pendenze che si avvicinano al così detto angolo di natural declivio, che in generale sarà minore di 45°.

Eppure, camminando nell’alveo del Tagliamento, mi imbatto spesso in basse “pareti” di erosione dove l’acqua dell’ultima piena ha asportato parte di una barra. In questa foto si vede uno dei casi comuni e l’inclinazione di questa parete è decisamente > 60°.

Non sono molto preparato in materia, ma sospetto che l’osservazione di questi casi abbia indotto gli antichi a pensare di mettere insieme materiali diversi per ottenere qualcosa che “sta in piedi” meglio di un accumulo dei singoli materiali, ovvero sedimenti di granulometria diversa. In questo caso vediamo ciottoli, ghiaia, sabbia e pochissimo silt mescolati. Anche se la deposizione tende a formare degli strati abbastanza uniformi per granulometria, tutto viene complicato dall’embedding, ovvero dal fatto che negli ampi spazi fra i ciottoli si infilano sedimenti più fini. Il risultato è qualcosa che non ha retto all’azione erosiva della piena, ma nonostante la pioggia che ci è caduta sopra, questa miscela di diversi sedimenti ha retto piuttosto bene. Probabilmente la parete inizierà a crollare nel momento in cui l’acqua evaporerà o percolerà, sabbia e silt si asciugheranno e perderanno gran parte della capacità di fare da legante. Ovviamente se questi sedimenti rimanessero sepolti sotto enormi quantità di altri sedimenti per qualche milione di anni, otterremmo una puddinga. Ma è tutta un’altra storia.

Rakov Škocjan – La Valle del Rio dei Gamberi

Maggio 10, 2024 by

Visita a un luogo simbolo del carsismo

Nel Carso, il Kras classico, quello che è stato culla della speleologia ed il cui nome è usato dai geologi in tutto il mondo, un bel torrente scorre sul fondo di una valle circondata da pendii scoscesi e pareti rocciose. La stranezza è che il torrente compare all’improvviso, uscendo dall’imponente portale di una grotta e torna a scomparire tuffandosi in un’altra grotta dopo poco meno di due chilometri e mezzo. Potete trovare la localizzazione del sito a questo collegamento.

Il torrente Rak esce dalle Zelške Jame, vista dall’alto presso il Mali Naravni Most

Il torrente è stato chiamato Rak, dalla parola rak slovena che significa gambero o più genericamente crostaceo. Le sue acque provengono in gran parte dal famoso lago Circonio / Cerkniško Jezero, attraverso percorsi sotterranei noti solo a grandi linee, nel senso che non è stata percorsa interamente la rete di grotte che collega tutti i vari polje della zona. Polj…che cosa???

Dato che lo studio dei fenomeni carsici è nato proprio qui, i naturalisti che se ne sono occupati hanno utilizzato i termini comuni nella lingua slovena. Polje significa letteralmente “campo” e si riferisce a grandi spianate contenute entro delle depressioni generate dalla dissoluzione carsica del calcare, prive di una via di uscita superficiale per le acque, che sono quindi costrette a defluire lungo percorsi sotterranei. In questo caso i torrenti del Carso fluiscono per lo più attraverso cavità di dimensioni anche ragguardevoli.

Le acque dunque emergono uscendo dal portale delle Zelške Jame e diventano visibili anche a chi non è speleologo. In effetti il Rak esce alla luce del sole, ma all’interno di quella che sembra una profonda gola rocciosa. A ben guardare pare quasi una prosecuzione ideale della grotta, ma senza “il coperchio”. L’interpretazione è corretta: la gola di Rakov Škocjan è generata dal collasso del soffitto di parte del sistema di grotte create dall’acqua di quello che chiamiamo Rak. Alcune decine di metri dopo l’uscita, il torrente passa sotto il Mali Naravni Most (piccolo ponte naturale) per poi infilarsi in un’altra breve grotta, completamente percorribile da chiunque anche senza il supporto di illuminazione artificiale. Bisogna solo andarci quando il torrente non è in piena, perché in quel caso gran parte del percorso è decisamente inagibile.

Il Mali Naravni Most
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Organismi come traccianti in ambiente ipogeo

aprile 19, 2024 by

Quando la fauna racconta qualcosa su come sia fatta una montagna

Come appassionato di speleologia, fin dalla tenera età, sebbene sia laureato in biologia e abbia lavorato per anni sulle biocenosi delle acque interne continentali, mi sono assai raramente occupato di quelle di ambiente ipogeo. Ma questa volta non ho potuto fare a meno di compiere un’osservazione che trovo interessante.

In una grotta delle Prealpi Giulie, nota per essere percorsa da un flusso d’acqua consistente durante i periodi piovosi, stavo campionando meiobenthos per un maestro della biospeleologia, insieme a Rosa Romanin, come me socia del Circolo Speleologico e Idrologico Friulano.

Entrambe abbiamo osservato in alcune pozze la presenza di macroinvertebrati. Pur non avendo con me gli occhiali, ormai necessari per capire cosa ci sia sotto il mio naso, ho capito subito che quelli erano dei “miei”, invertebrati di acque superficiali e non stigobi.

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Mosaico ambientale

aprile 16, 2024 by

Forse è un’espressione che avrete sentito già usare spesso. Rende bene l’idea, perché il mosaico è qualcosa che guardata da una certa distanza mostra un’immagine apparentemente continua, ma quando ci si avvicina, si scopre che è fatta da una miriade di tessere, ciascuna caratterizzata da un colore specifico.

Nell’immagine qui sopra vediamo una minuscola porzione della bassa valle del torrente Torre, dove si riconoscono piuttosto facilmente delle zone che hanno caratteristiche completamente diverse fra loro. Ad esempio c’è un campo coperto completamente da vegetazione erbacea in basso a sinistra, mentre quello più in alto ha evidentemente una copertura più rada. I due campi confinano con una fascia, erbosa con pochi arbusti, che si mette nel mezzo fra loro e l’alveo di un piccolo torrente, dove ci sono zone allagate e zone asciutte di ghiaia nuda, in alto si vede l’alveo del Torre, molto più grande. Guarda, il fondo del torrentello è marrone – verde, pieno di alghe, mentre quello del torre sembra molto chiaro, si vede l’azzurro dell’acqua e il bianco di ciottoli e ghiaie, che qui sono per lo più fatti di calcare e dolomia.

Se ci divertiamo a disegnare, contornando queste aree e assegnando loro colori differenti esce questa:

È una mappa che rappresenta il mosaico ambientale osservato quel giorno in quel punto. Ogni colore rappresenta un “tipo” differente, che ho classificato in base a vegetazione e substrato osservabili.

Questo è quello che si fa quando si creano le mappe degli habitat. Ovviamente con delle regole chiare su come classificare ogni tessera del mosaico, molto più complicate di quelle che ho applicato qui in modo rapido, solo per farvi un esempio.

Morfologie a piccola scala

aprile 8, 2024 by

Non sembra il grande alveo di un fiume alpino? Delimitato da scarpate, con barre e canali. È in effetti largo meno di un metro e rappresenta solo una minuscola parte dell’alveo attivo del Tagliamento.

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