Posts Tagged ‘Pesci’

La stagione delle gjavedonis

marzo 21, 2024

Marzo è stagione riproduttiva per Cottus gobio (Ita: scazzone; Fur: gjavedon).

Qui vediamo una femmina ormai molto “panciuta” che porta uova mature e pronte alla deposizione. Si tratta di una cattura accidentale campionando macroinvertebrati, dato che non usiamo l’elettropesca durante la stagione riproduttiva, proprio perché le femmine a fine maturazione delle uova sono particolarmente vulnerabili.

Visione ventrale, si notano bene le due pinne ventrali divise, carattere che permette facilmente di non confondere i Cottidae con i Gobiidae a dispetto dell’apparenza “da ghiozzo”

Si nota il muso abbastanza arrotondato, carattere che permette di distinguere le femmine durante tutto l’anno. I maschi infatti hanno il capo più largo e il muso squadrato. Le uova vengono deposte sul soffitto di una camera scavata nel sedimento fine sotto una grossa pietra. Dopo la deposizione la femmina se ne va, mentre il maschio rimane a guardia del nido fino a quando gli avannotti non se ne allontanano.

Cottus gobio è una specie inclusa nell’elenco dell’Allegato II alla Direttiva 92/43/CEE – Habitat ed è pertanto specie di interesse comunitario. In Friuli Venezia Giulia è fortunatamente comune e localmente molto abbondante. In alcuni siti lo scazzone costituisce la quasi totalità della comunità ittica. Questo dato sembra straordinario se consideriamo che, come specie bentonica e poco mobile, dovrebbe essere fortemente sfavorito dalla tipica dinamica naturale degli alvei alpini e dai continui interventi umani.

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Avvistamenti inattesi

marzo 10, 2024

Guardare gli uccelli dall’alto in basso, per caso

Qualche giorno fa stavo approfittando di una pausa fra due giornate di piogge per dare un’occhiata all’alveo di un torrente che sto seguendo nell’ambito di un monitoraggio ambientale. In particolare mi interessava capire se, a quella portata, la zona allagata fosse effettivamente quella che avevo individuato come “alveo di morbida” mediante osservazioni effettuate con portate molto più basse (di magra).

Dato che il torrente era pressoché non guadabile per gran parte del tratto che mi interessa, ho dovuto usare un piccolo velivolo radiocomandato, che tutti chiamiamo “drone”. Con i suoi 249g di massa al decollo questo gioiellino riesce a portare in volo una macchina fotografica digitale che restituisce immagini di 4000 x 3000 punti, più che sufficienti per il mio lavoro, anche se faranno storcere il naso agli appassionati di fotografia (a torto, secondo me).

In questi casi sono solito fare un semplice volo in asse con l’alveo. All’andata registro un video, al ritorno scatto foto con una cadenza di una ogni 2″ circa. Come uso queste cose ve lo racconterò in un altro post.

Fatto sta che, tornato a casa, lancio il programma che assembla le foto per creare un’ortofoto georiferita e nel frattempo mi guardo il video. A un certo punto mi rendo conto che c’è una “cosa bianca a forma di pallone da rugby” che si muove in modo non coerente con la corrente. A questa distanza i dettagli non si apprezzano, perché un punto ha dimensione di circa 2,2 cm di lato, ma è stato facile “a giudizio esperto” capire che si trattava di un uccello, che stava nuotando in superficie. Osservando meglio, mi sono accorto che dietro al primo uccello rilevato ce n’era un secondo, con una colorazione decisamente meno appariscente. Qui sotto provo a mostrarvi un estratto del video, molti di voi riconosceranno “al volo” la specie.

Consiglio di guardare su YouTube perché la compressione in questo template rende difficile vedere i due uccelli (clicca sulla scritta YouTube in basso a destra)

Si tratta di una coppia di Mergus merganser (smergo maggiore). Il maschio è in livrea riproduttiva quindi facile da avvistare perché si vede molto bene la parte chiara della sagoma che contrasta con il dorso scuro. La femmina è decisamente più difficile da vedere dall’alto, come accade quasi sempre negli Anatidae per consentire un buon mimetismo a protezione della fase di cova. Ricordiamoci che la posizione da cui ho avvistato i due animali è quella che avrebbe un uccello predatore alla ricerca di prede al suolo.

I due sono comparsi anche nelle foto scattate in discesa, poco distante da dove stavano nuotando controcorrente all’andata (vedi le foto qui sotto).

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Parablennius sanguinolentus (Pallas 1814)

agosto 8, 2023

Si tratta di una specie piuttosto comune nelle acque costiere del Mediterraneo, ma trattandosi di una specie erbivora, che si nutre in genere di macroalghe, non mi aspettavo di trovarlo su un masso di granito quasi “nudo” come questo. Tant’è che ho dovuto controllare eventuali specie simili per verificare l’identificazione. In questo caso l’individuo, molto territoriale come è consueto fra i Blenniidae, si è lasciato osservare con tranquillità. La foto non è un granché a causa delle onde che mi impedivano di mantenere la posizione con agio.

L’osservazione è stata effettuata a 1,5m di profondità circa nei pressi di Cava Usai, all’interno dell’Area Marina Protetta di Capo Carbonara (Villasimius, SU).

Allarmante turismo cieco

luglio 24, 2023

L’incredibile incapacità di vedere ciò che si ha sotto gli occhi

Mi trovo in Sardegna, nella parte meridionale dell’isola. Cerco di alternare il mare alla scrivania e ho fatto tre uscite infrasettimanali, la mattina, per visitare alcuni dei siti interessanti per lo sviluppo del turismo naturalistico scientifico. Tutti questi siti si trovano nei pressi di una delle rinomate spiagge sarde. Così capita che, oltre a verificare lo stato dell’ambiente marino e la presenza di alcune specie di pesci e invertebrati, mi trovo ad osservare anche gli umani.

Spiaggia di Solanas (Sinnai) gli umani sono più frequenti nella zona a sinistra nella foto

Questi ultimi hanno una selezione dell’habitat piuttosto ristretta, ovvero sono frequentissimi sulla parte emersa della spiaggia più o meno fra la battigia e la prima berma (ordinaria), mentre in acqua si concentrano fra la battigia e il solco di battigia. Verso l’interno, sulla berma di tempesta, per fortuna ce ne sono pochi, perché in genere da quelle parti possono sconfinare su dune costiere piuttosto belle, che soffrirebbero il calpestio, mentre verso l’esterno non si avventura quasi nessuno. Anche perché sembra che la maggior parte degli umani ami stare in una zona dove “si tocca”.

Pochi umani si spostano da questo habitat e si avventurano ai margini della spiaggia, ovvero nelle zone dove la costa è rocciosa e digrada piuttosto rapidamente in mare fino a una decina di metri di profondità. Qui gli umani, dotati regolarmente di apparati atti a separare gli occhi dall’acqua di mare (maschere), nuotano osservando con soddisfazione in paesaggio sommerso. Ma gli esiti fanno nascere un paradosso: sembrano avere una buona vista, ma non vedono gran parte di ciò che si trova sotto acqua.

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Palificate spondali

marzo 11, 2023

Pro e contro, punto di vista dell’idrobiologo

Le palificate sono un tipo di opere piuttosto comuni negli interventi di stabilizzazione delle sponde di corpi d’acqua corrente o stagnante. Quando sono realizzate con pali di legno rientrano nella grande categoria delle opere di ingegneria naturalistica.

Nella pratica le palificate consistono in cortine di pali tangenti fra loro, dunque strettamente addossati gli uni agli altri, lungo una linea che viene individuata come sponda di progetto. La loro funzione è impedire all’acqua di rimuovere sedimenti e fare arretrare la linea di sponda. Questa esigenza progettuale viene in particolare sentita dove le sponde naturali, o sagomate in terreno naturale, siano costituite da sedimenti fini, o con una componente fine rilevante, che possano essere presi in carico dall’acqua nelle condizioni che si verificano localmente, in occasione di eventi di portata sia elevata che bassa. Non intendo trattare qui in dettaglio del comportamento di sedimenti e acqua, erosione e deposito, ma parlare delle palificate dal punto di vista ecologico. Detto questo è chiaro che non parlerò nemmeno di aspetti paesaggistici: il fatto che siano opere in legno e possano mimetizzarsi bene nel contesto, per l’occhio profano, è ecologicamente irrilevante.

Una prima grossa differenza fra le palificate in legno e la semplice riva sagomata in terreno naturale, consiste nella durata degli effetti dell’intervento. Una lunga durata è apprezzata da molti, ma presenta aspetti controversi a mio parere. Un pro della durata dell’opera è che non risulterà necessario intervenire sulle sponde per alcuni anni, quindi non ci sarà nuova attività di manutenzione, nessun cantiere, nessun disturbo. Senza entrare nel merito dell’utilità di certi interventi, è decisamente meglio che abbiamo cadenza decennale, piuttosto che biennale. Questo permette potenzialmente un’evoluzione della vegetazione nella fascia ecotonale, anche se la sua ampiezza viene ridotta fino quasi a scomparire. Il contro è che tutto gli effetti negativi dell’opera durino a lungo.

Parlerò altrove della differenza di punti di vista fra un ecologo e un ingegnere. Ovviamente c’è ed è giusto ci sia; meno giusto, secondo me, è che prevalga l’uno o l’altro in modo acritico. Questo mio articolo vuole essere un contributo al dibattito sull’uso di un tipo di opere che vengono spesso considerate acriticamente un ottimo compromesso fra esigenze umane e quelle degli altri elementi dell’ecosistema. A volte il compromesso viene valutato senza conoscere le esigenze delle altre componenti dell’ecosistema, ma contribuire a chiarirle è proprio il mio mestiere.

Innanzitutto, una palificata definisce a fine lavori, o con un’evoluzione successiva, una sponda estremamente regolare. Le sponde naturali di un corso d’acqua, o di uno specchio d’acqua, non sono mai “regolari”. La palificata ci permette invece di ottenere decine di metri di sponda molto regolare, che soddisfa l’occhio umano, desideroso di ridurre il disordine naturale. Confrontiamo qui in foto i due casi.

In questa immagine vediamo una sponda con palificata in legno a sinistra e una priva di palificata a destra. Ci troviamo nel tratto iniziale del fiume Livenza (mappa), presso la sorgente della Santissima (Polcenigo, PN).

Cosa implica, dal punto di vista ecologico, questa artificiale regolarità della sponda? Dobbiamo ficcare la testa sott’acqua ed esaminare una sponda naturale. Notiamo che c’è una certa complessità e la sponda non è una linea, ma un groviglio di strutture di cui possiamo apprezzare la tridimensionalità. Chiunque abbia occasione di entrare nell’alveo di un fiume, grande o piccolo, sa che ci sono punti dove è comodo scendere, altri dove non lo è per niente. Bisogna fare attenzione a dove si scende, per non finire in una buca profonda, o incastrati in qualche groviglio di radici sporgenti.

Vediamola dal punto di vista di chi ci vive, nel fiume. Una sponda regolare permette all’acqua di scorrere bene, ovvero velocemente. Se vivessimo nell’acqua non lo apprezzeremmo molto, perché implicherebbe la necessità di nuotare continuamente controcorrente, o di fare fatica per restare ancorati al fondo e non farci trascinare via. Sia chiaro, milioni di animali e vegetali vivono in ambienti di acqua veloce e turbolenta nei corsi d’acqua montani, ma non sono quelli che vivono nei fiumi di pianura. Inoltre sono meno numerosi, perché dove la vita è più facile, ci sono più abitanti.

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